SMART WORKING E SORVEGLIANZA SANITARIA: i controversi obblighi del datore di lavoro

Nina Catizone, Consulente del lavoro in Torino 

La L. n. 81/2017 valorizza due esigenze a tutela degli interessi delle parti contrattuali che esulano il normale rapporto lavorativo: da un lato, quella del datore di lavoro di “incrementare la competitività aziendale” e dall’altro, quella del lavoratore di “agevolare i tempi di vita e di lavoro”.

In questo equilibrio la normativa va oltre le motivazioni contrattuali ed estende la disciplina alla tutela della sicurezza e della salute del lavoratore nello stesso modo previsto con riguardo a un normale rapporto di lavoro. “Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile”. L’obbligo di garantire la sicurezza ricondotto alla figura del datore di lavoro si estende anche al lavoratore che “è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali”. In questa ottica, sembrerebbe tutto semplice, ma, nonostante la legge n. 81/2017 abbia già percorso un lungo cammino, continua la tendenza all’utilizzo della prestazione resa dai lavoratori agili senza un’effettiva osservanza degli adempimenti relativi alla tutela della salute e della sicurezza. La domanda incalzante è: come è applicato l’obbligo di garantire la sicurezza quando i lavoratori operano al di fuori dei locali aziendali e in particolare quando operano all’interno della propria abitazione?

Questa difficoltà è ancora più preoccupante quando i luoghi di lavoro sono molto distanti dai confini aziendali o addirittura sono ubicati all’estero. Bastano le indicazioni previste nell’accordo di smart working a sollevare il datore di lavoro dagli obblighi di garante della sicurezza? Può limitarsi il datore di lavoro ad inviare al lavoratore agile raccomandazioni più o meno generiche?

Hanno ben colto il punto l’art. 6 del Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile sottoscritto all’esito di un confronto con le Parti sociali promosso dal Ministro del Lavoro il 7 dicembre 2021, e ancora più recentemente l’Interpello n. 1 del 25 gennaio 2023 della Commissione Interpelli. Illuminante è l’art. 22, comma 2, il quale prescrive che il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali e, dunque, palesemente circoscrive la cooperazione del lavoratore agile al momento dell’attuazione delle misure, mentre affida in via esclusiva al datore di lavoro la loro predisposizione. E lungimirante è ancora quell’art. 22, comma 1, secondo periodo, per cui il datore di lavoro consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Dunque, un’informativa che presuppone necessariamente una individuazione dei rischi inerenti all’attività prestata dai lavoratori agili non solo all’interno, bensì anche all’esterno dei locali aziendali. Altro che attribuire allo stesso dipendente -come pure è stato da taluno esplicitamente suggerito- l’obbligo di “accertare la presenza delle condizioni che garantiscono la tutela della salute e sicurezza del lavoratore”. E naturalmente la norma base dell’art. 22, comma 1, lavoro garantisce e, dunque, ha l’obbligo garantire la sicurezza ricondotto alla figura del datore di lavoro si estende anche al lavoratore che “è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali”.

n questa ottica, sembrerebbe tutto semplice, ma, nonostante la legge n. 81/2017 abbia già percorso un lungo cammino, continua la tendenza all’utilizzo della prestazione resa dai lavoratori agili senza un’effettiva osservanza degli adempimenti relativi alla tutela della salute e della sicurezza. La domanda incalzante è: come è applicato l’obbligo di garantire la sicurezza quando i lavoratori operano al di fuori dei locali aziendali e in particolare quando operano all’interno della propria abitazione?
Questa difficoltà è ancora più preoccupante quando i luoghi di lavoro sono molto distanti dai confini aziendali o addirittura sono ubicati all’estero. Bastano le indicazioni previste nell’accordo di smart working a sollevare il datore di lavoro dagli obblighi di garante della sicurezza? Può limitarsi il datore di lavoro ad inviare al lavoratore agile raccomandazioni più o meno generiche?
Hanno ben colto il punto l’art. 6 del Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile sottoscritto all’esito di un confronto con le Parti sociali promosso dal Ministro del Lavoro il 7 dicembre 2021, e ancora più recentemente l’Interpello n. 1 del 25 gennaio 2023 della Commissione Interpelli. Illuminante è l’art. 22,
comma 2, il quale prescrive che il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali e, dunque, palesemente circoscrive la cooperazione del lavoratore agile al momento dell’attuazione delle misure, mentre affida in via esclusiva al datore di
lavoro la loro predisposizione. E lungimirante è ancora quell’art. 22, comma 1, secondo periodo,
per cui il datore di lavoro consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Dunque, un’informativa che presuppone necessariamente una individuazione dei rischi inerenti all’attività prestata dai lavoratori agili non solo all’interno, bensì anche all’esterno dei locali aziendali. Altro che attribuire allo stesso dipendente -come pure è stato da taluno esplicitamente suggerito- l’obbligo di “accertare la presenza delle condizioni che garantiscono la tutela della salute e sicurezza del lavoratore”. E naturalmente la norma base dell’art. 22, comma 1, primo periodo, ove si dispone che il datore di lavoro garantisce e, dunque, ha l’obbligo di garantire, la salute e la sicurezza del lavoratore svolge la prestazione in modalità di lavoro agile.
Una norma che, oltre ad essere integrata dagli ulteriori disposti dettati nella stessa Legge n. 81/2017, per forza di cose richiama gli obblighi di sicurezza contemplati dal D.lgs. n. 81/2008.
Un capitolo fondamentale -affrontato ora dall’Interpello n. 1/2023 della Commissione Interpelli- concerne proprio il rapporto tra smart working e sorveglianza sanitaria. Domanda: i lavoratori agili debbono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria? La risposta non può non essere sì, beninteso nei casi indicati dall’art. 41, comma 1, D.lgs. n. 81/2008, e, dunque, sia nei casi previsti dalla normativa vigente, e dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva, sia qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi.
Il quesito acutamente proposto dalla Confcommercio concerne appunto la possibilità, per il datore di lavoro, di continuare attivamente, nonostante il periodo pandemico e in relazione all’utilizzo sempre maggiore del lavoro agile, ai sensi della L. n. 81/2017, le attività di sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41, D.lgs. n. 81/2008. E concerne, in particolare, la possibilità per il datore di lavoro (anche alla luce dell’attuale situazione pandemica e, in ogni caso, stante il massivo utilizzo del lavoro agile) di individuare, con una apposita nomina, medici competenti diversi e ulteriori rispetto a quelli già nominati per la sede di assegnazione originaria dei dipendenti, vicini al luogo ove gli stessi dipendenti ora continuano ad operare in regime di smart working, specificamente individuati per apposite aree territoriali (provincie e/o regioni) e appositamente nominati esclusivamente per tali aree e per le tipologie di lavoratori operanti da tali aree. Tutto ciò nel dichiarato intento di garantire adeguate condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro anche nei confronti di lavoratori videoterminalisti che
operano in smart working e che si trovano, attualmente, a svolgere attività lavorativa presso il proprio domicilio o, comunque, in luoghi anche molto lontani dalla propria sede di lavoro.
Il quesito non potrebbe essere più lungimirante. E infatti, dall’art. 39, D.lgs. n. 81/2008, la Commissione Interpelli desume che il datore di lavoro può nominare più medici competenti, individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento, per particolari esigenze organizzative nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi di imprese nonché qualora emerga la necessità in relazione alla valutazione dei rischi. Con la precisazione che, in questa ipotesi, ogni medico competente verrà ad assumere tutti gli obblighi e le responsabilità in materia ai sensi della normativa vigente. E tra tali obblighi fa spicco quello di effettuare, sì, la sorveglianza sanitaria, ma nei casi previsti dall’art. 41, D.lgs. n. 81/2008 (utilmente richiamato sia dall’interpellante, sia dalla Commissione, in linea, del resto, con l’Interpello n. 2 del 26 ottobre 2022, e a smentita della Lettera Circolare n. 3 del 12 ottobre 2017 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro).
Dunque, l’Interpello n. 1/2023 rivela una portata eccezionale che va oltre lo specifico quesito sollevato. Presuppone, infatti, che, ove ricorra allo smart working, il datore di lavoro è tenuto comunque a garantire la sicurezza dei lavoratori agili. E insegna, quindi, che gli obblighi di sicurezza non vengono meno a carico del datore di lavoro (così come dei suoi collaboratori, dall’RSPP al medico competente) per il fatto che la prestazione di lavoro venga eseguita al di fuori dei locali aziendali. La sorveglianza sanitaria è semplicemente uno di questi obblighi. E ben fa la Commissione Interpelli ad aggiungere che dovrà essere cura del datore di lavoro rielaborare il documento di valutazione dei rischi nei casi di cui all’articolo 29, comma 3, del D.lgs. n. 81/2008. Altro che la pretesa propugnata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella nota del 13 marzo 2020 n. 89 ove si ritenne ingiustificato l’aggiornamento del DVR. in relazione al rischio associato all’infezione, salvo il caso degli ambienti di lavoro sanitario o socio-sanitario o qualora il rischio biologico sia un rischio di  natura professionale, già presente nel contesto espositivo dell’azienda. Anche su questo punto il chiarimento dato dalla Commissione Interpelli è inesorabilmente incalzante.


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