SICUREZZA DEL LAVORO NEL DECRETO 231: Cassazione divisa su interessi e vantaggi

Nina Catizone, Consulente del lavoro in Torino 

Sempre più ampia e penetrante è la giurisprudenza relativa alla responsabilità c.d. amministrativa delle imprese per i reati di omicidio colposo e di lesione personale colposa grave o gravissima commessi con violazione delle norme antinfortunistiche. E in particolare l’attenzione della Corte Suprema si è concentrata sulla norma dettata dall’art. 5, commi 1 e 2 del D.lgs. n. 231/2001, in forza della quale “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio” da persone apicali e/o sottoposte, a meno che “tali persone abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

In proposito, è ormai pacifica la risposta data a due problemi sorti nei primi procedimenti in materia di sicurezza sul lavoro. Anzitutto, si afferma che i criteri dell’interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività, come conferma la congiunzione disgiuntiva “o” presente nel testo della disposizione. In secondo luogo, è stata respinta la tesi -inizialmente sostenuta da alcuni che aveva escluso la concreta applicabilità della responsabilità amministrativa nel settore degli infortuni e delle malattie professionali, e ciò perché il criterio dell’interesse o del vantaggio non sarebbe compatibile con la natura colposa del delitto presupposto di omicidio o di lesione personale da lavoro. Come infatti osserva la Corte Suprema, “una lettura delle norme imperniata sulla incompatibilità logica tra necessaria sussistenza dei requisiti dell’interesse o del vantaggio, da una parte, e natura colposa del reato-presupposto, dall’altro, si risolverebbe,

a ben vedere, in una interpretatio abrogans delle norme che hanno, appunto, introdotto, nel catalogo dei reati-presupposto, illeciti che appaiono contraddistinti dalla natura di reati colposi di mera condotta”, e che “proprio considerando tale ultima circostanza, è evidente come il legislatore abbia inteso configurare anche i reati colposi quali titoli di addebito della conseguente responsabilità amministrativa, a ciò, dunque, conseguendo l’obbligo, per l’interprete, di adattare agli stessi i criteri di imputazione dell’interesse e del vantaggio di cui all’art. 5 D.lgs. n. 231/2001”. Con specifico riferimento ai reati in materia di sicurezza sul lavoro, la Corte Suprema legge la nozione di interesse/ vantaggio “nella prospettiva patrimoniale dell’ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all’aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale”. E precisa che “nei reati colposi l’interesse/ vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero nell’agevolazione, sub specie, dell’aumento di produttività che ne può derivare sempre per l’ente dallo sveltimento dell’attività lavorativa “favorita” dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, tale attività avrebbe “rallentato” quantomeno nei tempi” 1.

Purtroppo, però, sono affiorati insegnamenti giurisprudenziali non agevolmente conciliabili su due punti di determinante rilievo. In primo luogo, è discusso se ai fini della responsabilità amministrativa sia necessaria una violazione antinfortunistica “sistematica”, ovvero risulti bastevole una violazione anche isolata. Inoltre, ci chiediamo se la responsabilità amministrativa venga meno in caso di esiguità del vantaggio o di scarsa consistenza dell’interesse perseguito.

Per anni, la Cassazione ha ritenuto configurabile la responsabilità c.d. amministrativa delle imprese ex art. 25-septies, D.lgs. n. 231/2001, a condizione che la persona fisica, agendo per conto dell’ente, abbia violato sistematicamente le norme prevenzionali. Ancora da ultimo, Cass., pen., 20 ottobre 2022, n. 39615 ritiene che, “qualora la persona fisica abbia violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto, allora potrà ravvisarsi il vantaggio per l’ente”. E “quanto alla consistenza del vantaggio”, sostiene che “deve certamente trattarsi di importo non irrisorio, il cui concreto apprezzamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, che resta insindacabile ove congruamente ed adeguatamente motivata”.

Di diverso avviso fu Cass., pen., 26 ottobre 2020, n. 29584: “l’art. 25-septies non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell’ente derivante dai reati colposi ivi contemplati”, ed “è eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte, pur sorrette dalla intenzionalità, ma, in quanto episodiche e occasionali, non espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari”. Ancora da ultimo, proprio Cass., pen., 20 ottobre 2022, n. 39615 ritiene che, “qualora la persona fisica abbia violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto, allora potrà ravvisarsi il vantaggio per l’ente”. E “quanto alla consistenza del vantaggio”, sostiene che “deve certamente trattarsi di importo non irrisorio, il cui concreto apprezzamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, che resta insindacabile ove congruamente ed adeguatamente motivata”.

  1. Così, per tutte, Cass. pen., 27 gennaio 2020, n. 3157.

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