Senza filtro – A PROPOSITO DI adempimenti inutili e costosi…

Andrea Asnaghi, Consulente del lavoro in Paderno Dugnano (Mi)

Ti capita a volte di imbatterti in norme la cui ragione sfugge, a meno che (il sospetto è legittimo) non vi sia qualcuno che attraverso di esse persegue interessi particolari. Ora permetterete l’argomento un po’ particolare e forse anche fuori tema rispetto a questa Rivista (ma in tema ci torneremo in un attimo) ma vorrei parlare degli adempimenti di “trasparenza e pubblicità” previsti dalla L. n. 124/2017, art. 1, commi 125-129 (come sostituito dall’art. 35 del D.l. n. 34/2019, ed eventuali modifiche ed integrazioni – che quelle non mancano mai). Tranquilli, non facciamo come il legislatore, che ti spara in faccia 27 riferimenti di legge e poi ti lascia lì come un pesce appena pescato a boccheggiare tramortito fra Gazzette Ufficiali e banche dati per capire cosa diavolo voglia dalle nostre povere vite.

Le norme in questione prevedono, in due parole, che – per “adempimenti di trasparenza e pubblicità” di cui sfugge a prima vista la ragione sostanziale – i soggetti che avessero ricevuto nel 2022 dalle Autorità Pubbliche dei contributi, delle sovvenzioni e/o dei vantaggi non aventi carattere generale, se non sono tenuti alla redazione della nota integrativa, sono obbligati entro il 30 giugno 2023 a segnalare la cosa nel proprio sito web. Se il sito web non ce l’avessero, la medesima segnalazione può essere fatta nel portale digitale “dell’associazione di categoria di appartenenza”. Pena una non risibile sanzione amministrativa. Ora, sono necessarie alcune annotazioni. La prima è che con un pensiero ingenuo un’anima semplice come quella che scrive sarebbe istintivamente portata a pensare che a tale proposito è stato istituito un “Registro nazionale degli aiuti di Stato” (www.rna.gov.it/RegistroNazionaleTrasparenza). Uno riceve uno o più aiuti – o come dice la norma “sovvenzioni, sussidi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria” – e la cosa viene annotata in quel posto apposito. Chiunque nel pubblico corrisponda una provvidenza del genere ad un soggetto, lo iscrive nel registro suddetto e il gioco (cioè la trasparenza) è fatto. Ma chissà, forse non è così e i fiumi, fiumicelli, rivoli e rigagnoli degli aiuti si dipanano come una foce a delta, e così, senza obbligo da parte di chi li corrisponde di segnarli nel registro, qualcosa si perde per strada. Ora i casi sono due: o chi eroga questi contributi è obbligato a segnarli nel registro (e se non lo fa è una mancanza dell’erogatore, e non del beneficiato) oppure questo obbligo per taluni enti non sussiste (e allora è una mancanza del legislatore). Anche perchè trasparenza vorrebbe che tutti questi aiuti fossero lì, belli in evidenza e consultabili da chiunque in un pubblico registro. Dopo di che, un’annotazione nella nota integrativa – se un soggetto è tenuto a redigerla – sembra un fatto normale, quasi scontato: nel rendere conto delle particolarità di gestione sicuramente avere ricevuto contributi del genere è una cosa che sembra opportuno evidenziare. Ma il resto?

Per quale motivo si deve inserire questa informazione (sia pure se i contributi superano i 10.000 euro nell’anno) in un portale web aziendale? A chi giova questa informazione e come e quanto è reperibile e consultabile in tal modo? Ora a pensar male si farà anche peccato, ma visto che molte aziende, soprattutto quelle di piccole dimensioni, la nota integrativa non sono tenute a farla e del sito web non sono provviste, ecco che arriva il salvataggio: pubblica il dato (inutile) sul portale web della tua categoria. La tua associazione ti salva, ti protegge, pensa a te (sembra la pubblicità della Coop): te lo dicono le norme. Che ogni tre per due sulle associazioni di categoria spingono, attraverso di esse ti è suggerito di fare molte cose, dalle richieste di cassa integrazione alla rappresentanza in questo o quel consesso o alla presentazione di una domanda (guarda un po’) per l’ottenimento di contributi (magari anche con un qualche canale privilegiato). Assòciati, ti dice la legislativa manina amica (delle associazioni), è più utile e conveniente. Qui si possono offrire molte riflessioni. La prima è che la libertà di associazione è anche, costituzionalmente, una libertà negativa. Ma oggi sempre di più si spingono le aziende ad associarsi. Che sia un bene o un male non so dire, che sia quasi un obbligo mi pare una cosa un po’ poco democratica. Un non associato deve godere degli stessi diritti e delle medesime facilitazioni di un associato, se no è discriminazione (oggi va di moda dire così, ormai la discriminazione da questione seria è diventato il “prezzemolo giuridico”) . La seconda è una mera curiosità: con quale criterio si indica la possibilità di indicarle sul sito dell’associazione di categoria? Cos’ha in più un sito di un’associazione rispetto ad un altro sito? Mettiamo che una società si occupi di agevolazioni, non potrebbe essere ugualmente efficace pubblicarle sul sito di quella società? O perché non sul sito del proprio commercialista o consulente del lavoro? Perché non sul sito della propria squadra del cuore (è più facile che cambi l’associazione rispetto a quella)? Si noti che è un’annotazione sostanzialmente poco utile (così com’è costruita), un intralcio, un orpello normativo. Però porta acqua a qualcuno che magari porta acqua di ritorno a chi ha previsto questa cosa (qualcuno lo chiama lobbismo, che non è vietato ma che non deve costringere a cose inutili/dannose). Insomma, sarà anche un momento di siccità ma quest’acqua appare un po’ sporca, non tanto buona da bere. La terza annotazione si collega alla seconda ed è che le associazioni di categoria sono primariamente un luogo di rappresentanza. Quindi chi si associa conferisce loro un mandato (e non è cosa indifferente perché poi è sostanzialmente obbligato a rispettare ciò che la sua associazione sottoscrive – un caso eclatante è la parte c.d. obbligatoria dei contratti collettivi), tuttavia le associazioni stanno sempre più diventando dei centri di affari economici, portatori di interessi privatistici – ad esempio mostruosi erogatori di servizi – e che entrano in competizione sul mercato beneficiando di spintarelle come quella di cui stiamo parlando (non è qualcosa di palese, sembra più un “effetto Nudge”, è un meccanismo subliminale di indirizzo). Il tutto nel sonno più totale dell’autorità garante, per cui “il” problema paiono essere più spesso i professionisti, specie se ordinistici.

Prendete le ricchissime casse edili (si dice al plurale, perché sono tante quanto, più o meno, le province, ed ognuna ha regole di funzionamento diverse, una vera meraviglia gestionale): sono gestite da associazioni di categoria privatissime ma stanno diventando sostanzialmente obbligatorie, pena grossi disagi e penalizzazioni per le aziende. Qualcuno si è mai preoccupato di esaminarne e regolarne il funzionamento e la gestione? Ma è un tema che riguarderebbe pure gli altri Enti bilaterali (anch’essi spinti tantissimo), e ne riparleremo un’altra volta.

La quarta ed ultima riflessione è anch’essa strettamente collegata alla terza ed è che usciti dal mondo del corporativismo (che in alcuni settori, neanche tanto mascherato, sussiste ancora) se un’associazione è fonte di lucro perché non far nascere associazioni come funghi? Ci sono tanti vantaggi, dal dumping contrattuale alla gestione di enti bilaterali farlocchi o di enti formativi altrettanto pretestuosi, ma in grado di convogliare interessantissimi fiumi di denaro. Nuove associazioni, che vanno ad  erodere un pezzettino di torta ad associazioni di categoria più tradizionali (ma sempre tutti con le mani nella torta stanno). Ma stiamo forse dicendo che le associazioni di categoria sono “il male”? No, nessun manicheismo e massimo rispetto dei ruoli. È che le associazioni di categoria (e lo stesso potremmo dire per le associazioni del lavoratori) a dispetto di tanto parlare sulla libertà sindacale, sulla responsabilità sociale, sulla rappresentanza etc. possono sostanzialmente fare ciò che vogliono (e lo fanno…), ricevono considerevoli spinte (come nel caso che ha dato il pretesto per queste righe, ma che è solo un piccolissimo esempio) spesso anche sotterranee, non particolarmente visibili, insomma non sempre brillano per specchiata gestione e trasparenza (anche quando della trasparenza  si cerca di farle, posticciamente, garanti). Tutto qui. Una qualche riflessione la meriterà prima o poi tutto questo, no?


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