L’intervento dell’Ispettorato contro la contrattazione “pirata”

di Carmine Santoro, Funzionario dell’Ispettorato nazionale del lavoro, Dottore di ricerca

 

L’Ispettorato Nazionale del lavoro, con la circolare n. 3 del 25 gennaio 2018, evidenzia la rilevanza della contrattazione stipulata dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, al fine di contrastare il fenomeno degli accordi “pirata”. Eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati”, nelle varie ipotesi normative, non possono produrre gli effetti previsti dalla legge. Ne consegue che il personale ispettivo, in sede di accertamento, dovrà considerare come del tutto inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti.

La criticità maggiore della nozione di “organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative” resta, tuttavia, la carenza di criteri certi per l’individuazione dei sindacati abilitati.

Il tema trattato nella circolare in commento rende necessaria una breve analisi dei poteri ispettivi di intervento sulla contrattazione collettiva, nonché sulla nozione normativa di “organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative”2.

La vigilanza sulla contrattazione collettiva

L’ordinamento prevede da tempo una disposizione, l’art. 4, lett. b) della Legge n. 628/1961, che conferisce all’organo ispettivo il potere di vigilare sui contenuti dell’autonomia collettiva. In tempi più recenti, l’art. 7 del D.lgs. n. 124/2004 ha previsto la potestà ispettiva di verificare, oltre che l’esecuzione delle leggi in materia di lavoro (lett. a), la corretta applicazione dei contratti e accordi collettivi di lavoro (lett. b)3. Analogamente, la Legge n. 183/2010 (“Collegato lavoro”), ha modificato il testo dell’art. 13 del D.lgs. n. 124 cit., aggiungendo alla violazione di legge l’inosservanza di clausole di contratto collettivo, quale antecedente fattuale necessario del potere ispettivo di diffida (co. 2). Il Ministero del lavoro, nella circolare n. 41/2010, ha sostenuto che la disposizione debba trovare applicazione nelle sole fattispecie in cui la contrattazione collettiva svolga una funzione integratrice del precetto normativo, per la cui violazione sia stabilita una sanzione amministrativa.

Nel rispetto della libertà sindacale e dal pluralismo sindacale (art. 39, co. 1, Cost.), nonché dalla autonomia negoziale e dalla libertà imprenditoriale (art. 41 Cost.), l’art. 7, co. 1, lett. b), cit., va inteso nel senso di una verifica ispettiva subordinata alla volontà delle parti del rapporto di lavoro di applicare al relativo contratto individuale uno specifico contratto collettivo. In tale prospettiva, l’ispettore del lavoro deve verificare, in ragione della natura di diritto comune del contratto collettivo di lavoro, se questo risulta essere effettivamente applicato fra le parti, per volontaria adesione alle organizzazioni firmatarie dello stesso ovvero per rinvio contenuto nel contratto individuale di lavoro4. Pertanto, in linea di principio, il personale ispettivo – come il giudice – non può imporre ai datori di lavoro l’applicazione di un determinato contratto collettivo, atteso che nel nostro attuale sistema, a causa della nota inattuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost., i patti dell’autonomia collettiva non possiedono efficacia erga omnes.

Il Ministero del lavoro (Interpello n. 21/2009), sollecitato a chiarire in generale l’ambito del potere ispettivo ex art. 7, D.lgs. n. 124/2004, ha precisato che l’eventuale accertamento, da parte del personale ispettivo, di inosservanze ai precetti contrattuali collettivi non determina l’applicazione di sanzioni pecuniarie amministrative, salve talune ipotesi individuate esplicitamente dal legislatore – ad es. la violazione dell’art. 5, co. 5, del D.lgs. n. 66/2003, secondo il quale «il lavoro straordinario deve essere […] compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro», è punita in via amministrativa – e salva l’inosservanza di contratti collettivi erga omnes, di cui alla cd. legge “Vigorelli” (Legge n. 741/1959). Piuttosto, secondo il Ministero, la vigilanza sui contratti collettivi di lavoro, di cui al citato art. 7, co. 1, lett. b, cit., trova il suo principale strumento attuativo nell’istituto della diffida accertativa per crediti patrimoniali disciplinata dall’art. 12 del medesimo D.lgs. n. 124/2004.

Peraltro, con successive prese di posizione lo stesso Ministero del lavoro ha concepito l’ambito di intervento dell’organo di vigilanza su basi più ampie di quelle sin qui riferite, giungendo a configurare un vero e proprio potere ispettivo di “disapplicazione” delle clausole collettive previste nei cd. “contratti pirata” e nei contratti di prossimità privi dei requisiti legali (Cfr. circolari 9 novembre 2010, 6 marzo 2012 e 1 giugno 2012, nota 24 maggio 2016, n. 10599)5. Si noterà che l’Ispettorato, con la circolare in commento, ha dato continuità a tale orientamento.Circa i poteri ispettivi sulla contrattazione di prossimità, l’intervento del legislatore con l’art. 8 del D.l. n. 138/2011 comporta l’affiancamento, alla tradizionale attività di verifica ispettiva, di un inedito controllo della legittimità della contrattazione collettiva di prossimità e di accertamento della clausola applicabile in regime di pluralità di fonti legali e contrattuali concorrenti6. Come precisa anche l’INL nella circolare in commento, gli organi ispettivi possono sindacare il rispetto dei parametri fissati dal legislatore in ordine alle finalità dell’accordo, alle materie oggetto dell’intesa, e al rispetto delle fonti superiori inderogabili.

Il concetto di sindacato “comparativamente più rappresentativo”

Analogamente alla nozione di sindacato “maggiormente rappresentativo”, anche quella di organizzazione “comparativamente più rappresentativa”, sin dal suo esordio legislativo, è oggetto di dubbi e discussioni, che in questa sede possono essere solo accennati.

Come suggerisce la stessa denominazione, la figura in esame impone una selezione, mediante un confronto di rappresentatività, dei soggetti sindacali legittimati alla stipula del contratto collettivo cui la legge rinvia. Tuttavia, il legislatore non si è mai curato di specificare criterio alcuno per l’individuazione dei contratti in argomento o delle rappresentanze abilitate.

L’adozione legislativa della formula del sindacato comparativamente più rappresentativo potrebbe comportare la verifica delle organizzazioni abilitate attraverso il principio di maggioranza. In presenza di più contratti, dovrebbe essere stabilita la prevalenza dell’uno o dell’altro mediante un procedimento di comparazione fondato sulla copertura associativa e sui risultati elettorali di ciascun soggetto sindacale. Secondo la prospettazione che appare più convincente, i criteri da utilizzare per misurare la maggiore rappresentatività comparata potrebbero essere tratti dai dati dei voti ricevuti all’esito delle elezioni RSU e quello delle deleghe sindacali7. Si potrebbero utilizzare, a tale scopo, i parametri di rappresentatività sindacale adottati nel cd. Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014. In particolare, l’adozione della soglia del 5%, quale media del dato elettorale con il dato associativo, potrebbe essere valido criterio diretto ad individuare i sindacati comparativamente più rappresentativi.

La circolare dell’Ispettorato

Sintetizzato il problematico quadro ermeneutico, è ora possibile esaminare l’impostazione dell’Ispettorato nella circolare in commento. L’INL, in particolare, segnala talune fattispecie normative, di rilievo per l’attività ispettiva, nelle quali è richiesto il requisito cennato della rappresentatività comparata.

La prima ipotesi evidenziata riguarda i contratti di “prossimità”, di cui all’art. 8 del D.l. n. 138/2011, in relazione ai quali l’organo di vertice delle ispezioni riprende l’orientamento del Ministero del lavoro (nota n. 10599 del 24 maggio 2016). Eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati”, precisa l’INL, non possono produrre gli effetti derogatori “alle disposizioni di legge (…) ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Ne consegue che il personale ispettivo dovrà considerare inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti (recuperi contributivi, diffide accertative ecc.).

Inoltre, l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni dotate del requisito detto è condizione per il godimento di “benefici normativi e contributivi”, come stabilito dall’art. 1, co. 1175, Legge n. 296/2006. Il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale rappresenta il parametro ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal Ccnl applicato ai fini retributivi, secondo quanto prevede l’art. 1, co. 1, del D.l. n. 338/1989 e l’art. 2, co. 25, della Legge n. 549/1995. Sicché, come aveva già precisato il Ministero del lavoro (nota n. 10599 cit.), il personale ispettivo dovrà provvedere a recuperare gli eventuali benefici indebiti goduti dai datori di lavoro che abbiano applicato contratti di rappresentanze “minoritarie”.

L’INL ritiene utile evidenziare anche la facoltà, rimessa esclusivamente alla contrattazione collettiva in questione, di “integrare” o derogare la disciplina normativa di numerosi istituti. A tal proposito si ricorda anzitutto che l’art. 51 del D.lgs. n. 81/2015 – recante, tra l’altro, la “disciplina organica dei contratti di lavoro (…)” – stabilisce che “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”. Pertanto, ogniqualvolta la legge rimette alla “contrattazione collettiva” il compito di integrare la disciplina delle tipologie contrattuali, gli interventi di contratti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi non hanno alcuna efficacia. Ciò può avvenire, a titolo esemplificativo, in relazione al contratto di lavoro intermittente, al contratto a tempo determinato o a quello di apprendistato. Ne consegue che l’eventuale disciplina derogatoria o integrativa dettata da un contratto collettivo non stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative non può trovare applicazione in luogo di quella stabilita dalla legge. Ciò potrà comportare, conclude l’INL, la mancata applicazione degli istituti di flessibilità previsti dal D.lgs. n. 81/2015 e, a seconda delle ipotesi, anche la “trasformazione” del rapporto di lavoro in quella che, ai sensi dell’art. 1 dello stesso Decreto, costituisce “la forma comune di rapporto di lavoro”, ossia il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

In ultimo, con la circolare n. 4 dello scorso 12 febbraio, l’INL ha esteso il ragionamento agli enti bilaterali abilitati alla certificazione dei contratti ai sensi degli art. 75 e ss. del D.lgs. n. 276/2003 e del D.P.R. n. 177/2011. In tal caso l’Ispettorato evidenzia che, ai sensi dell’art. 2, lett. h), del D.lgs. n. 276/2003, possono definirsi Enti bilaterali ai fini dello svolgimento delle attività demandate dallo stesso decreto legislativo – ivi compresa “la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva” – solo quei soggetti costituiti “a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative”. Qualora l’Ente sia costituito da organizzazioni datoriali o sindacali prive del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi, l’organismo non può ritenersi un Ente bilaterale abilitato a svolgere le attività indicate dal citato art. 2, lett. h), D.lgs. n. 276/2003 e, naturalmente, l’attività di certificazione.

Anche in tale ipotesi il personale ispettivo avrà il potere di non tener conto delle certificazioni di tali pseudo Enti, e delle relative preclusioni, adottando anche ogni eventuale provvedimento di carattere sanzionatorio.

Conclusioni

Come si può osservare, in tutte le ipotesi illustrate, l’Ispettorato riconosce al proprio personale un potere di “disapplicazione” dei contratti e, in generale, di tutti gli atti stipulati o discendenti da organizzazioni prive del requisito rappresentativo. Tale potestà non implica la declaratoria di invalidità dei contratti o degli atti in questione, che restano efficaci tra le parti, ma la loro inidoneità a produrre gli speciali effetti legali connessi alla loro stipula. Sicché, tali negozi sono idonei a disciplinare – almeno in parte – gli istituti della relativa parte obbligatoria e normativa, ma non possono, ad es. derogare o integrare la legge ovvero concedere i benefici previsti, ecc., a seconda delle ipotesi legislativamente stabilite.

Si deve osservare che l’impostazione dell’INL è rispettosa dell’art. 39 Cost., giacché il potere di “disapplicazione” concepito dal vertice ispettivo non implica l’imposizione dei contenuti dell’autonomia collettiva “rappresentativa”, ma unicamente la “riespansione” del regime normativo ordinario, il quale non può essere modificato da pattuizioni prive delle garanzie richieste dalla legge. In tal senso è onere, e non obbligo, degli interessati che intendano avvalersi dei benefici ed incentivi legislativi, rispettare le condizioni cui questi sono subordinati.

Pertanto, non è su questo piano che la posizione dell’Ispettorato può essere criticata, anche perché la contrattazione “pirata” è un fenomeno socialmente intollerabile e giustamente l’organo ispettivo – ereditando l’orientamento del Ministero del lavoro – è impegnato nella repressione del medesimo. Piuttosto, la critica che è stata rivolta all’impostazione del vertice ispettivo riguarda l’assenza di indicazioni sui criteri da applicare per l’individuazione dei contratti promananti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative e la conseguente inapplicabilità dell’invito operato ai propri uffici “ad attivare specifiche azioni di vigilanza” (cfr. Approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del lavoro del 12 febbraio 2018). In buona sostanza, il silenzio dell’INL sul punto avalla la prassi, di fatto instauratasi, di ritenere più rappresentativi gli accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni “storiche” sia di parte datoriale che sindacale, a svantaggio dei patti siglati da organizzazioni isolate. Il problema giuridico maggiore di tale orientamento è la sua logica meramente presuntiva, nel senso che esso trae il suo fondamento dalla supposizione della maggiore rappresentatività delle organizzazioni storiche rispetto a quella delle organizzazioni “minori”, supposizione suffragata dalle frequenti previsioni peggiorative proprie dei patti siglati da queste ultime. Sebbene tale soluzione sia indubbiamente dotata di buon senso pratico, essa non risulta confortata da verifiche sulla consistenza dei dati effettivi.

Come esempio di tale schema si può citare la situazione del settore cooperativo, dove si registra la presenza di contratti provenienti da organizzazioni diverse da quelle ritenute maggioritarie (Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL) e contenenti condizioni economiche peggiorative rispetto a queste ultime. Tali accordi sono puntualmente “disapplicati” in sede ispettiva con l’adozione di diffide accertative, e di recuperi contributivi, intesi a riallineare le retribuzioni ai minimi contrattuali imposti dalla legge. In tal senso, si era già espresso il Ministero del lavoro (nota n. 10310 del 1° giugno 2012), in quel caso citando, peraltro, anche criteri di misurazione della rappresentatività adottabili dal personale ispettivo, quali il numero complessivo delle imprese associate, il numero complessivo dei lavoratori occupati, la diffusione sul territorio nazionale e il numero di contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti.

1 Articolo pubblicato in “La Circolare di Lavoro e Previdenza”, n. 11/2018, pag. 46, Ed. Gruppo Euroconference. Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

2 Per approfondimenti sul tema della vigilanza ispettiva sulla contrattazione collettiva e, in senso più ampio, sul ruolo della contrattazione collettiva nel diritto sanzionatorio amministrativo, sia consentito rinviare a C. Santoro, la contrattazione collettiva nel diritto sanzionatorio del lavoro, 2018, Adapt university press.

3 In dottrina (Cfr. S. Margiotta, La vigilanza pubblica sull’applicazione dei contratti collettivi di diritto comune, in Mass. giur. Lav., 2006) è stato sostenuto che il potere di cui all’art. 7 del D.lgs. n. 124/2004 si spiega con la funzione integrativa e complementare della contrattazione rispetto alle norme di diritto obiettivo svolta con il meccanismo dei rinvii da queste a quella.

4 P. Rausei, Vigilanza e sanzioni sulla contrattazione collettiva, in Dir. prat. lav., 2008, 24.

5 Per un’illustrazione dell’orientamento ministeriale espresso con i documenti di prassi indicati si veda V. Lippolis, Applicazione dei contratti collettivi: controlli ispettivi, in Dir. prat. lav., n. 40/2016, pag. 2352 ss..

6 P. Capurso, Il controllo ispettivo sulla contrattazione collettiva di prossimità, in IPrev., 2012, 1-2-3-4, 18.

7 P. Passalacqua, Il modello del sindacato comparativamente più rappresentativo nell’evoluzione delle relazioni sindacali, in Dir. relaz. ind., n. 2/2014, pag. 378 ss..