La soglia di punibilità dell’omesso versamento delle ritenute contributive a carico del dipendente

di Sabrina Pagani, Consulente del Lavoro in Milano

Con la Sentenza n. 10424/2018, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha risolto il contrasto interpretativo venutosi a creare tra la prassi del Ministero del Lavoro, l’Inps e le decisioni della Suprema Corte, a seguito della depenalizzazione – operata dal D.lgs. n. 8/2016 art. 3 – del reato di omesso versamento dei contributi previdenziali per un importo non superiore a 10.000 euro annui.

Ricordiamo che il D.l. n. 463/1983, art. 2 co. 1bis, conv. dalla L. n. 638/1983, nella sua attuale formulazione successiva al D.lgs. n. 8/2016 prevede infatti che:

  • l’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a 3 anni e con la multa fino a euro 1.032, mentre, se l’importo è inferiore, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro;

  • il datore di lavoro non è passibile di sanzione penale, né di sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

La norma precedente all’intervento legislativo del 2016 non contemplava alcuna “soglia di punibilità” penalmente rilevante e l’omesso versamento delle ritenute previdenziali operate dal datore di lavoro era penalmente sanzionato tout court. La depenalizzazione della fattispecie ha quindi generato dubbi interpretativi sulla definizione dell’area di punibilità.

L’intervento delle Sezioni Unite muove da una missiva dell’Inps alla Corte di Cassazione – in occasione di una causa di condanna di un datore di lavoro che aveva omesso il versamento dei contributi per un importo superiore a 10.000 euro – nella quale evidenzia i dubbi interpretativi emersi circa l’individuazione dell’arco temporale entro cui effettuare il calcolo del versamento omesso.

La terza sezione penale della Suprema Corte, ritenendo la questione controversa e d’altra parte di particolare interesse per l’incidenza sulle risorse finanziarie pubbliche di primario rilievo, domandava al primo Presidente la sottoposizione della stessa al vaglio delle SS.UU. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle SS.UU. è dunque la seguente: “Se, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l’importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, debba essere individuato con riferimento alle mensilità di pagamento delle retribuzioni, ovvero a quelle di scadenza del relativo versamento contributivo”.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno analizzato in primo luogo il dettato normativo attuale rilevando come il nuovo concetto di “soglia di punibilità” introdotto dal D.lgs. n. 8/2016, in precedenza non sussistente, induce necessariamente a riesaminare la natura del reato sotto il profilo del momento consumativo. L’assenza della soglia di punibilità infatti precedentemente consentiva di qualificare il reato come omissivo istantaneo, individuando il momento consumativo nella scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento (giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento dei contributi): ad ogni mensilità non versata corrispondeva un singolo reato (con effetti significativi sul calcolo della prescrizione).

Successivamente al Decreto Depenalizzazione si sono susseguiti vari orientamenti della Corte di Cassazione che, sulla base delle diverse ipotesi configurabili in relazione al superamento della soglia di punibilità (es. superamento della soglia dal mese di gennaio, senza ulteriori omissioni, oppure superamento della soglia derivante da più omissioni ricorrenti nel medesimo anno, o ancora superamento della soglia riferita all’intero arco temporale annuale), hanno qualificato “il reato come avente struttura unitaria, rispetto alla quale la condotta omissiva può configurarsi anche attraverso una pluralità (eventuale) di omissioni, che possono di per sé anche non costituire reato, con la conseguenza che la consumazione può essere, secondo i casi, tanto istantanea quanto di durata e, in quest’ultimo caso, ad effetto prolungato, sebbene nel solco del periodo annuale di riferimento, sino al termine del quale può realizzarsi o protrarsi il momento consumativo del reato”.

Rileva dunque la modalità di determinazione del periodo annuale da prendere a riferimento.

Sotto tale profilo:

  • un primo filone di sentenze ha considerato quale anno di riferimento quello in cui il debito contributivo si è formato secondo il principio di competenza, ossia l’anno solare/civile, inteso come periodo temporale che va dal 1° gennaio di un anno al 31 dicembre dello stesso anno;

  • un secondo orientamento assume invece che l’anno di riferimento è quello nel quale il debito è sorto secondo il principio di cassa, considerato che ciò che rileva penalmente è l’atto del mancato versamento e non quello della maturazione del debito. Il periodo da considerare andrebbe quindi dal 16 gennaio di un anno al 16 gennaio dell’anno successivo.

I giudici di legittimità, riprendendo la ratio della norma, di cui già a precedente sentenza della Corte n. 27641 del 28 maggio 2003 sottolineano che volontà del legislatore non è tanto quella di reprimere l’omesso versamento dei contributi, quanto contrastare il più grave fatto commissivo dell’indebita appropriazione da parte del datore di lavoro di somme prelevate dalla retribuzione erogata al lavoratore. Poiché il versamento delle ritenute operate deve essere effettuato entro i termini stabiliti dalla legge, è lo spirare di questo termine che rileva ai fini del formarsi della soglia di punibilità.

Con la sentenza in commento n. 10424/2018 la Suprema Corte, ritenendolo più corrispondente allo spirito della legge enuncia pertanto il seguente principio di diritto: “In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l’importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi (periodo 16 gennaio -16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso).

Ciò è in linea anche con l’attuale sistema di denuncia telematica mensile dei dati retributivi e delle informazioni utili al calcolo dei contributi, tramite il cd. modello Uniemens, e di controllo della congruità delle dichiarazioni con possibilità di rettifica/regolarizzazioni. “Ne consegue che anche sulla base di tali adempimenti può compiutamente definirsi l’ammontare del debito contributivo, attraverso un sistema, per così dire, fluido, che in alcuni casi consente l’esatta individuazione degli importi dovuti solo all’esito di determinati calcoli”.

Alla luce di tale soluzione, la sentenza conclude precisando che l’individuazione del momento consumativo del reato terrà conto della natura della violazione quale reato unitario a consumazione prolungata.

Si segnala da ultimo che l’Ispettorato nazionale del Lavoro, con la recente nota n. 2926 del 2018, ha espressamente aderito alla sentenza in commento, così confermando le indicazioni inizialmente già fornite con propria nota del 3 maggio 2016 n. prot. 9099.