LA MODIFICA DEL CCNL APPLICATO non necessita della sede protetta

Michele Siliato, Consulente del lavoro in Messina e Roma

La modifica del Ccnl applicato al rapporto di lavoro rientra legittimamente nella libera ed autonoma determinazione delle parti, senza che vi sia la necessità che l’accordo venga raggiunto in sede protetta.

Il caso è stato affrontato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza 21 ottobre 2022, n. 31148, a seguito della sentenza della Corte d’Appello di Roma che, in riforma al giudice di prime cure, ha respinto la domanda di un giornalista pubblicista dipendente, relativa alla restituzione delle differenze retributive lorde percepite in esecuzione alla sentenza di primo grado derivanti dalla illiceità della modifica del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro. Innanzi agli Ermellini, il ricorrente deduceva:

  1. la violazione e la falsa applicazione dell’art. 27, comma 4, del Ccnl Radiotelevisioni private del 9 aprile 1994 e degli artt. 1362, 1363 e 2077, c.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto valida la variazione di inquadramento contrattuale frutto di un accordo negoziale intervenuto tra il di- pendente e la società datrice di lavoro;
  2. la violazione degli 2077, 2103 e 2113, c.c., e dell’art. 12, comma 1, sulla legge in generale, relativamente alla violazione del principio di irriducibilità della retribuzione e per aver escluso, il giudice di seconde cure, l’applicabilità delle tutele contemplate dal citato articolo 2113;
  3. la violazione dell’art. 2033, codice civile, e dell’art. 38, P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per aver, la sentenza di riforma, condannato il lavoratore alla restituzione delle differenze retributive al lordo e non al netto delle ritenute fiscali.

Quanto alle prime due doglianze, trattate congiuntamente dai giudici di Piazza Cavour, la Corte ribadisce, mantenendo la linea delle precedenti sentenze n. 3982/2014 e n. 21234/2007, che il contratto collettivo costituisce fonte eteronoma di integrazione al contratto individuale e che la sostituzione in via negoziale di una fonte collettiva ad un’altra si colloca al di fuori dell’ambito regolato dall’art. 2077 cod. civ. in tema di efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale.

Si noti, infatti, che il secondo comma, art. 2077, codice civile, prevede una sostituzione e – più genericamente – una relazione tra clausole difformi dei contratti individuali rispetto a quelle del contratto collettivo (sempreché più favorevoli), non potendo la sostituzione del Ccnl applicabile trovare i limiti posti dal richiamato articolo.

Il contratto collettivo – spesso solo richiamato nella lettera di assunzione con effetto di rinvio- agisce dall’esterno nel rapporto di lavoro quale fonte eteronoma di un regolamento concorrente con la fonte individuale rispetto al criterio del trattamento più favorevole ma che non si incorpora nel contenuto dei contratti individuali. Se ne deduce che la scelta della modifica della disciplina di negoziazione collettiva applicabile al rapporto di lavoro rientra nella libera negoziabilità delle parti e che – conseguentemente – decadono tutte quelle tutele che normalmente vengo- no protette dalla disciplina giuslavoristica.

Appare il caso di evidenziare un ulteriore d terminante passaggio della vicenda.

A nulla rileva, secondo i giudici, anche la disposizione del contratto collettivo richiamata tra i motivi del ricorso (dichiarazione a verbale art. 27, accordo del Ccnl Radiotelevisioni private del 9 luglio 1994) relativa all’esclusione dell’attribuzione di nuovi inquadramenti ai dipendenti in forza alla data di stipulazione del presente che godano, come condizione personale, della applicazione di altri contratti, valutata, dal ricorrente, alla stregua di una vera e pro- pria clausola di salvaguardia volta ad evitare mutamenti peggiorativi delle condizioni lavorative del comparto. Tale nota esplicativa delle parti sociali trovava ragione nella disciplina della emittenza che imponeva l’obbligo di una quota di informazione e del radiogiornale, con conseguente individuazione di nuove figure dedicate a detta attività, che hanno portato le parti sociali a rinviare a successivo accordo l’armonizzazione di tali nuovi inquadramenti nella relazione tra il nuovo ed il precedente contratto. Sul piano giuridico la disposizione del Ccnl non avrebbe potuto agire né avrebbe potuto limitare la possibilità di intervenuti nuovi accordi individuali, anche se relativi ad un assoggettamento volontario ad un determinato assetto contrattuale, in quanto – fatte salve specifiche disposizioni di legge – le parti collettive non possono interferire con la libera esplicazione dell’autonomia privata garantita dall’art. 1322 cod. civile.

Quanto alle tutele di cui all’art. 2113, codice civile, concernenti la necessità d’individuazione di una sede protetta, la norma fa salvi esclusivamente i diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi, sicché l’opzione negoziale del lavoratore di optare in favore di questo o di quell’ambito di contrattazione non può qualificarsi come un negozio abdicativo, non avendo, tale scelta, la possibilità di incidere su pregresse e specifiche situazioni di vantaggio già entrate nella disponibilità del lavoratore.

Appare il caso di rammentare che le modificazioni in peius per il lavoratore sono sempre ammissibili nelle ipotesi di successione di contratti collettivi con il solo limite – appunto – dei soli diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente. Anche nella pattuizione negoziale di sostituzione di una fonte collettiva in favore di un’altra, il lavoratore non può pretendere il trattamento retributivo tempo per tempo previsto dal Ccnl sostituito ma, al più, potrà cristallizzare la retribuzione percepita all’atto della modifica contrattuale intervenuta.

Diversamente, l’unico motivo meritevole di accoglimento – nel caso prospettato – è il terzo ovverosia quello concernente la restituzione di somme totali o parziali a seguito di riforma di una precedente sentenza adempiuta dal datore di lavoro. Nel caso di specie – come noto – il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore ha effettivamente percepito, non potendo pretendere la restituzione delle somme al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del lavoratore.

La pronuncia permette alcuni spunti di riflessione in merito all’avvicendamento tra contratti collettivi applicati al rapporto di lavoro e alla relazione che questi hanno rispetto al contratto individuale, affermando – preliminarmente – che i diritti derivanti da accordi individuali seguono senza soluzione di continuità il loro percorso.

In primis appare necessario distinguere le ipotesi in cui la variazione del Ccnl applicabile al rapporto di lavoro è disciplinata ex lege (si pensi alle ipotesi di operazioni societarie in genere) o sia il frutto di una valutazione delle parti stesse del rapporto, spesso riconducibile ad esigenze organizzative dell’impresa.

Nei casi di trasferimento d’azienda, la successione del Ccnl applicabile è regolamentata dal terzo comma, art. 2112, codice civile, a mente del quale il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti normativi ed economici previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali vigenti alla data del trasferimento e sino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. Sostituzione che avviene esclusivamente tra contratti collettivi del medesimo livello. Possiamo, dunque, affermare che, in dette ipotesi:

  • laddove il cessionario non applichi alcun contratto collettivo, lo stesso darà corso al Ccnl applicato dal cedente fino a scadenza;
  • laddove il cedente non applichi nessun contratto collettivo, il cessionario applicherà il proprio Ccnl;
  • nel caso in cui il cedente abbia applicato un Ccnl diverso da quello del cessionario, il rapporto proseguirà con il Ccnl del cessionario;
  • qualora il cedente applichi un Ccnl in convivenza con un contratto collettivo aziendale, mentre il cessionario non è dotato di alcuna contrattazione aziendale, si applicherà il Ccnl del cessionario ed il contratto collettivo aziendale del cedente fino a scadenza;
  • laddove entrambi, cedente e cessionario, applichino un Ccnl e siano dotati di contrattazione collettiva aziendale, dovrà essere applicato il Ccnl del cessionario ed il contratto collettivo aziendale complessivamente più favorevole per il lavoratore;
  • qualora vi siano, invece, particolari operazioni societarie – come l’ipotesi della fusione per incorporazione di più società in una NewCo – sarà fondamentale concordare con le oo.ss. la disciplina applicabile ai rapporti di lavoro individuando un unico contratto collettivo

La questione, invece, appare più complessa – come nel caso affrontato dalla Corte – nella fattispecie in cui la modifica del Ccnl applica- to al rapporto di lavoro sia riconducibile ad una scelta organizzativa-gestionale del datore di lavoro, dovendo distinguere – opportunamente – le ipotesi in cui il datore di lavoro sia o meno iscritto ad una associazione datoriale. Qualora il datore di lavoro non abbia conferito mandato a taluna organizzazione sindacale ed abbia espressamente specificato nella lettera di assunzione l’applicazione o il rimando ad una specifica contrattazione nazionale, troveranno applicazione le tutele di disciplina generale riconducibili al sopracitato comma 2, art. 2077, sicché eventuali modifiche unilaterali apposte dal datore di lavoro – anche supportate dall’ausilio delle rappresentanze sindacali – non potranno incidere negativamente sul trattamento del lavoratore. Invero, seppur è spesso necessario l’intervento del fatidico e complesso accordo di armonizzazione tra due discipline di derivazione collettiva che regoli le modalità di transito verso il definitivo passaggio al nuovo contratto collettivo, appare opportuno che singolarmente le parti coinvolte nel rapporto di lavoro addivengano ad un nuovo accordo negoziale di transito alla nuova regolamentazione collettiva. D’altronde, la modifica del regime economico-normativo che opera dall’esterno rispetto ad un rapporto di tipo civilistico – prescelto in fase di assunzione – e che stabilisce la soglia minima generalmente applicabile al rapporto stesso, non può che essere oggetto di appositi accordi negoziali di variazione del rapporto di lavoro che vedano coinvolte le originarie parti contraenti, senza che, la parte sindacale, possa sostituire clausole contrattuali di cui essa stessa – sostanzialmente – non è parte. Accordo che, come ricordato dagli Ermellini, non necessita della sede protetta per i motivi di cui sopra. Resta ovviamente fermo lo zoccolo duro dei c.d. diritti quesiti ovverosia quei trattamenti definitivamente entrati nella sfera patrimoniale del lavoratore ed insensibili a vicende successorie esterne.

Diversamente, laddove il datore di lavoro abbia aderito ad una specifica organizzazione datoriale sarà necessario che lo stesso comuni- chi formale disdetta all’associazione, prima della scadenza del Ccnl applicato, per poi informare di detto recesso i lavoratori e le eventuali rappresentanze sindacali aziendali. In tal caso, infatti, la parte sociale datoriale ha operato in qualità di mandante ai sensi dell’art. 1704, codice civile, obbligando il datore di lavoro mandatario ad applicare il Ccnl di categoria sottoscritto. Si rammenta che, da conforme ed unanime giurisprudenza, la cessazione di applicazione di un contratto collettivo per mandato può realizzarsi solo a seguito di disdetta da parte dell’associazione datoriale stessa ovvero per sopraggiunta naturale scadenza della parte economico-normativa. Appare, infine, necessario evidenziare che, in tale ultima ipotesi, non si dovrà tener conto di eventuali clausole di ultra-vigenza contenute nel Ccnl. La contestazione del mancato rispetto della procedura di disdetta anzidetta comporterà la possibile rivendicazione da parte dei lavoratori dei trattamenti di miglior favore contemplati dalle clausole rinvenibili nel Ccnl sottoscritto dall’organizzazione sindacale alla quale il datore di lavoro aveva conferito mandato.


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