LA DISCREZIONALITÀ DEL GIUDICE è il vero limite alle sanzioni espulsive?

Clarissa Muratori, Consulente del lavoro in Milano

Nell’analisi della sentenza che verrà trattata (Cass., Sez. Lav., 27 maggio 2022, n. 17288) emerge forse come sia la discrezionalità del giudice l’unico confine alla conferma definitiva di una sanzione espulsiva di licenziamento.

Con la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, operata dalla Legge 28 giugno 2012, n. 92, il potere discrezionale collegato all’organo giudicante era stato ricondotto entro limiti più definiti in termini di reintegra nel posto di lavoro.

Tuttavia, anche nella riformulazione del disposto dell’articolo restano ampi spazi di valutazione per il giudice, sia nel primo che nel secondo grado di giudizio.

Quindi è ben possibile che vengano emesse sentenze di reintegra del dipendente anche a fronte di sottrazione di beni aziendali, ogni volta che il giudice del merito ritenga sproporzionata la sanzione del licenziamento rispetto ad una sanzione di carattere conservativo, e questo anche quando la fattispecie oggetto di giudizio, vale a dire il fatto contestato, non rientri nelle condotte punibili con sanzioni conservative da parte del Ccnl applicato. Il motivo risiede nel consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale il solo fatto che vi siano delle previsioni collettive non le configura quali fonti vincolanti in senso sfavorevole al dipendente, ben potendo ricondurre la fattispecie oggetto di esame a sanzioni conservative, anche in assenza di previsione contrattuale.

È l’analisi del fatto, avuto riguardo ad elementi di carattere oggettivo e soggettivo, oltreché la gravità della condotta, che portano il giudice a concludere per la conferma o meno della sanzione irrogata, non previsioni collettive che rappresentano esclusivamente criteri indicativi ed esemplificativi di massima. Seppure il giudice del merito abbia mantenuto i suoi spazi di discrezionalità anche dopo la citata riforma, è tuttavia possibile delineare quale siano stati i criteri seguiti nel caso oggetto della presente trattazione.

La Corte di merito, in linea con i giudici di primo grado, confermava la mancanza di proporzionalità della sanzione espulsiva in relazione al fatto oggetto di addebito e concludeva per l’illegittimità del licenziamento con previsione di reintegra.

Il fatto che aveva portato al licenziamento era rappresentato dall’avere un dipendente prelevato uno snack dall’espositore adiacente alla cassa ove operava e di averlo mangiato senza prima pagarne il corrispettivo di € 0,70. A carico del dipendente, inoltre, erano stati contestati unitamente a questo, ulteriori due precedenti disciplinari richiamati nella medesima lettera di contestazione.

Nell’analisi del fatto il giudice del merito non si è basato sull’esiguità economica del danno arrecato al datore di lavoro, ma su di una valutazione di carattere soggettivo e cioè se quella condotta, posta in essere dal lavoratore, fosse idonea a ledere irreparabilmente la fiducia del datore di lavoro.

Premesso ci  i giudici avevano concluso per una valutazione di non proporzionalità della sanzione del licenziamento basata su quattro aspetti:

a) non emergeva nella lettera di contestazione alcuna condotta frodatoria del dipendente; non si era allontanato dalla sua postazione e non aveva occultato il suo comportamento, tant’è che per il gesto posto in essere era
stato richiamato dal responsabile;
b) non vi era stata alcuna negazione del fatto contestato da parte del lavoratore, ma semplicemente un’ammissione di non ricordare l’accaduto, e che l’episodio poteva essere stato generato dal suo continuo bisogno di assumere sostanze zuccherine perché soggetto a frequenti crisi ipoglicemiche;
c) l’azione posta in essere si concretizzava nella sottrazione di un bene per il soddisfacimento di un consumo  immediato e limitato;
d) i precedenti disciplinari richiamati nella contestazione afferivano a condotte eterogenee e in quanto tali non considerabili utili al fine di individuare indici sintomatici dell’ostinazione del dipendente di ignorare i suoi doveri contrattuali.
Alla luce di questi aspetti il giudice del merito aveva ritenuta sproporzionata la sanzione del licenziamento disciplinare e ordinato la reintegra del lavoratore, in quanto il fatto, dopo l’analisi così condotta non era associabile, secondo i giudici, ad un concetto di gravità tale da ledere il vincolo fiduciario. A conferma di ciò la Corte di Cassazione ribadisce che spetta al giudice di merito valutare la gravità della condotta e la  proporzionalità della sanzione, a prescindere dalla presenza o meno di una scala valoriale formulata dalle
parti sociali, utile certo a dare contenuto alla sanzione ex articolo 2119 c.c., ma comunque non determinante per l’organo giudicante.
Per tale ragione risulta fondamentale la valutazione circa la gravità del comportamento posto in essere dal dipendente e se questo possa comportare il venir meno della fiducia del datore di lavoro (Cass., n. 13411/2020).
In tal senso le previsioni collettive di carattere disciplinare hanno solo valore esemplificativo, non precludendo l’indagine del giudice in merito agli elementi oggettivi e soggettivi che attengono al caso concreto. Non solo ma anche qualora l’ipotesi di furto fosse collegata dalle previsioni collettive alla sanzione espulsiva, in ogni caso il giudice
manterrebbe il suo potere di valutazione e verifica del fatto contestato circa la sussistenza dei due concetti suddetti di gravità e proporzionalità, non vincolandolo affatto sulla pronuncia definitiva.
Anche il concetto di recidiva è un altro aspetto che attiene alla valutazione dell’organo giudicante, circostanza che nel caso concreto non era possibile sostenere, in quanto i precedenti inseriti nella lettera di contestazione non avevano suscitato alcuna valutazione in tal senso, facendo riferimento a circostanze differenti rispetto al caso in esame.
In ultimo la Cassazione torna anche sull’aspetto dell’aliunde perceptum, reddito percepito dal lavoratore nel  periodo intercorrente tra la data del licenziamento e la pronuncia di reintegra, condizione che deve necessariamente essere provata dal datore di lavoro, il quale potrà avvalersi anche di presunzioni semplici lasciate alla valutazione del giudice.
Limitarsi ad affermarne il concetto senza darne alcuna prova risulta pertanto ininfluente ai
fini dell’accoglimento dell’eccezione.
In conclusione, seppure la discrezionalità per il significato stesso che rappresenta non può garantire risultati prevedibili, è comunque sempre opportuno costruire con estrema attenzione tutto il procedimento disciplinare, che abbia o meno un esito sanzionatorio.
Talvolta, infatti, è proprio nelle omissioni oppure in non ben specificate contestazioni, afferenti alla fase del  procedimento, che trova maggiore spazio il potere del giudice.


Scarica l'articolo