I CHIARIMENTI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE SUL BONUS 3.000 EURO. Ancora una volta non benissimo

di Alberto Borella, Consulente del lavoro in Chiavenna (So)

Ormai è assodato: sempre di più il legislatore scrive le norme come se fossero una sorta di legge-quadro, lasciando che siano i vari Enti, interessati per competenza, a stabilire la disciplina di dettaglio.

A questo malvezzo non sfugge l’art. 12 – Misure fiscali per il welfare aziendale, del Decreto Legge n. 115 del 9 agosto 2022 come appena modificato dal c.d. Decreto Aiuti-quater, che così ora dispone:

  1. Limitatamente al periodo d’imposta 2022, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non concorrono a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale entro il limite complessivo di euro 3.000,00.

I chiarimenti tanto attesi sono arrivati grazie alla circolare n. 35/E del 4 novembre 2022 a firma Agenzia delle Entrate nella quale, ahimè, rilevo troppe criticità.

IL LAVORATORE E I FAMILIARI

Dato che la norma in commento estende l’esenzione ai fini reddituali e contributivi anche alle somme erogate o rimborsate dal datore di lavoro ai propri lavoratori dipendenti relativamente al «pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale» e che il comma 3 dell’art. 51 del TUIR stabilisce che nei beni e servizi interessati dalla disposizione sono «compresi quelli dei beni

ceduti e dei servizi prestati al coniuge del dipendente o a familiari indicati nell’articolo 12», la circolare identifica le utenze domestiche in quelle che riguardano tutti gli

immobili ad uso abitativo posseduti o detenuti, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, a prescindere che negli stessi abbiano o meno stabilito la residenza o il domicilio, a condizione che ne sostengano effettivamente le relative spese.

In sostanza parliamo, e lo precisa la circolare con nota in calce,

del coniuge del dipendente nonché dei suoi figli e delle altre persone indicate nell’art. 433 codice civile, indipendentemente dalle condizioni di familiare fiscalmente a carico, di convivenza con il dipendente e di percezione di assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

Il chiarimento esclude quindi le utenze intestate al mero convivente, e così pure al convivente di fatto di cui alla Legge n. 76/2016, anche qualora l’utenza venga materialmente pagata, in toto o quota parte, dal lavoratore dipendente. E questo, secondo chi scrive, non rispetta esattamente lo spirito della norma il cui scopo è aiutare il lavoratore a pagare le utenze che di fatto sostiene. Analogamente la richiesta dell’esistenza di un titolo idoneo circa il possesso/detenzione appare travalicare il testo normativo.

UTENZE CONDOMINIALI

La circolare prosegue poi precisando che

è possibile, infine, comprendere nel perimetro applicativo della norma anche le utenze per uso domestico (ad esempio quelle idriche o di riscaldamento) – intestate al condominio – che vengono ripartite fra i condomini (per la quota rimasta a carico del singolo condomino) e quelle per le quali, pur essendo le utenze intestate al proprietario dell’immobile (locatore), nel contratto di locazione è prevista espressamente una forma di addebito analitico e non forfetario a carico del lavoratore (locatario) o dei propri coniuge e familiari, sempre a condizione che tali soggetti sostengano effettivamente la relativa spesa.

Anche in questo caso riteniamo che la lettura delle Entrate non sia conforme al dettato normativo, penalizzante peraltro per quei lavoratori che possano dimostrare di aver pagato un rimborso forfettario inferiore all’effettivo costo delle utenze pagate per il tramite del locatore. Idem nei casi in cui si negherebbe il beneficio nei limiti dell’effettivo importo delle utenze per il solo fatto che il lavoratore/conduttore ha corrisposto un rimborso forfettario maggiore (che può ben comprendere altre spese, quali pulizia parti comuni o spese giardinaggio).

PERIODO DI RIFERIMENTO DELLE SPESE

L’Agenzia ci precisa che le somme erogate dal datore di lavoro (nell’anno 2022 o entro il 12 gennaio 2023, come si dirà nel prosieguo) possono riferirsi anche a fatture che saranno emesse nell’anno 2023 purché riguardino consumi effettuati nell’anno 2022.

Diciamo subito che la norma non precisa nulla in merito al periodo di riferimento delle bollette. Il periodo di imposta 2022 viene citato solo in merito all’esclusione dal reddito imponibile delle somme erogate o rimborsate per tale scopo ai lavoratori dipendenti in tale anno. È un principio di cassa (allargato) e non di competenza. E infatti la ratio dell’intervento legislativo è quello di aiutare il lavoratore in un periodo di difficoltà che può ben derivare dal dover pagare delle fatture arretrate anche se relative all’anno 2021 e/o precedenti. Peraltro, se seguissimo il ragionamento fatto dall’Agenzia e se tanto ci da tanto, dovremmo ritenere che le somme erogate per fatture emesse nel 2022, ma riferite a consumi del 2021, non possano godere dei benefici di cui all’art. 12 del D.l. n. 115 del 9 agosto 2022.

LE FATTURE

Nella circolare viene poi evidenziato che la giustificazione di spesa può essere rappresentata anche da più fatture.

Ovviamente, anche se non viene detto esplicitamente, le varie fatture possono essere intestate a diversi soggetti purché si tratti del lavoratore, del suo coniuge o dei familiari indicati nell’articolo 12.

LA DOCUMENTAZIONE DI SPESA

Anche la previsione che il datore di lavoro si faccia carico, per eventuali successivi controlli, di acquisire e conservare

la relativa documentazione per giustificare la somma spesa e la sua inclusione nel limite di cui all’articolo 51, comma 3, del TUIR 

appare l’ennesima complicazione posta a carico delle aziende, peraltro per un invito alla liberalità avente un sottinteso, ma chiaro, “scopo sociale” a favore di terzi. Proviamo infatti ad ipotizzare un rimborso che sfrutti tutti i 3.000 euro previsti dal Decreto Aiuti-quater. Considerando le mie utenze potrei avere per ogni lavoratore ben 12 fatture per il gas, 12 per la luce e 4 per l’acqua, per un totale di 28 fatture. Aggiungiamo la prova del pagamento, sperando almeno che il  lavoratore presenti un estratto del proprio conto corrente e non le singole quietanze. Mettiamoci poi le varie autocertificazioni e dichiarazioni previste (vedasi più oltre). E poiché potrebbe pure capitare che il lavoratore chieda il rimborso sia delle proprie utenze che quelle dei suoi familiari, la miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci al confronto vi sembrerà un giochetto di prestigio da scatola da mago per bambini. Moltiplicate poi questa documentazione per tutti i lavoratori interessati e capite subito che un’azienda media di un centinaio di dipendenti si troverà a gestire qualche migliaio di scartoffie, che dovranno essere accuratamente valutate e poi archiviate.

Le spese sostenute dal locatore

Ma non finisce qui: la cosa si complica ancora di più nel caso in cui alcune delle fatture presentate risultino intestate al locatore dell’immobile detenuto dal lavoratore o dai suoi familiari.

Che deve fare il lavoratore conduttore di un immobile? Di certo autocertificare che nel contratto è previsto un rimborso analitico e non di tipo forfettario. Ma dovrà anche attestare di aver pagato quanto previsto al locatore. Non deve invece, secondo chi scrive, fare alcun controllo circa il fatto che il proprietario dello stabile abbia pagato le varie utenze.

Le spese condominiali

Ma peggio va a coloro che hanno utenze intestate al condominio: il riferimento è principalmente alle spese di riscaldamento, ma potrebbero riguardare anche quelle di luce e acqua per le parti comuni. Provate a ragionare in termini di bilancio consuntivo e provvisorio, di rate (comprensive di altre spese) scadute e in scadenza, di rate non pagate o pagate parzialmente. Le intuite le difficoltà, vero?

Difficile infatti, secondo chi scrive, che il lavoratore possa ricorrere ad una autocertificazione come gli è più semplice nei casi di utenze intestate a lui o ai familiari. Troppo complicato, ritengo, descrivere la situazione in cui versa.

Giocoforza dovrà presentare i vari resoconti condominiali dove emerga il dettaglio dei costi a lui imputati quale conduttore. E se il bilancio consuntivo 2022, come è assai probabile, non è ancora pronto o approvato in quanto l’esercizio non è ancora chiuso? Basterà presentare il bilancio preventivo? E come dimostrare che l’acconto richiesto in tale sede corrisponda all’effettiva spesa? Bisognerà chiedere all’amministratore copia delle fatture ricevute (e relative quietanze) ma non comprese nei vari resoconti? E il datore dovrà controllare tutto questo?

E se il lavoratore non ha pagato le rate condominiali o ne ha pagate solo

alcune? Quanto parzialmente pagato potrà essere imputato integralmente alle utenze o dovrà essere fatta una imputazione proporzionale tra le stesse e le altre spese (pulizia, amministratore, spese straordinarie, etc) a carico del condomino?

L’AUTOCERTIFICAZIONE

E va ancora peggio con l’alternativa proposta dalla circolare che consiglia di

acquisire una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con la quale il lavoratore richiedente attesti di essere in possesso della documentazione comprovante il pagamento delle utenze domestiche, di cui riporti gli elementi necessari per identificarle, quali ad esempio il numero e l’intestatario della fattura (e se diverso dal lavoratore, il rapporto intercorrente con quest’ultimo), la tipologia di utenza, l’importo pagato, la data e le modalità di pagamento.

Ve lo immaginate un lavoratore predisporre autonomamente questa autocertificazione in modo corretto senza quindi che il datore sia costretto ad interfacciarsi più volte con il suddetto?

E UN’ALTRA AUTOCERTIFICAZIONE

E che dire poi della ulteriore  dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesti la circostanza che le medesime fatture non siano già state oggetto di richiesta di rimborso, totale o parziale, non solo presso il medesimo datore di lavoro, ma anche presso altri.

L’Agenzia precisa che è richiesta in ogni caso, ovvero sia che si opti per la presentazione delle bollette che per l’autocertificazione. Ulteriori oneri di controllo e conservazione a carico delle imprese.

E LE AUTOCERTIFICAZIONI NON FINISCONO DI CERTO QUI

Un po’ come le ciliegie, un’autocertificazione tira l’altra. Nel nostro caso alle due indicate dall’Agenzia delle Entrate potrebbero servirne un altro paio.

La prima è prevista nell’ipotesi che l’utenza sia intestata al coniuge o agli altri suoi familiari. Non sempre è agevole infatti rilevare la reale parentela ben potendo essere il cognome dell’intestatario diverso da quello del lavoratore (peraltro anche in caso di coincidenza non è detto che vi sia un rapporto di parentela). Solo in caso di convivenza la cosa potrebbe essere risolta con uno stato di famiglia anagrafico, mentre nella diversa ipotesi dovrà essere predisposta dal lavoratore una apposita autocertificazione riportante il grado di parentela.

Una seconda autocertificazione – e lo abbiamo già evidenziato più sopra – si rende poi necessaria nel caso di utenze intestate al locatore dell’immobile.

LE SOMME EROGATE O RIMBORSATE

L’Agenzia evita accuratamente di affrontare il tema delle somme che possono essere erogate o rimborsate dal datore, ovvero la circostanza che la

norma, di fatto, prevede che le somme possano riguardare non solo il rimborso delle utenze ma anche una dazione in denaro per un futuro pagamento delle bollette. In questo caso entro quanto tempo il lavoratore dovrà dimostrare – sempre che lo debba fare – di aver effettivamente utilizzato tali somme per questa specifica finalità? La fattura dovrà essere pagata alla scadenza o è ammesso un pagamento anche in ritardo? E se sì, entro quando?

Se ci si attenesse al testo di legge chi scrive ritiene che il beneficio possa spettare al lavoratore che si limiti a presentare le fatture non ancora saldate – cosa che sottintende un implicito impegno ad utilizzare gli importi riconosciutigli in esenzione per tale specifica finalità – restando quindi esclusivamente a carico del dipendente la responsabilità in caso di mancato pagamento delle utenze, senza che sia il datore di lavoro a dover rincorrere il lavoratore, in questo caso per sollecitare la presentazione delle relative quietanze.

Ma ipotizziamo un lavoratore che non presentasse nei termini le quietanze e si intendesse quindi recuperare il benefit. Onde evitare discussioni sarebbe opportuno che il lavoratore sottoscrivesse una dichiarazione (almeno questa non nella forma dell’autocertificazione di atto di notorietà) dove prende atto che la mancata presentazione della prova dell’avvenuto pagamento comporterà il recupero delle somme erogate a rimborso in quanto tale erogazione è strettamente collegata all’effettivo pagamento delle utenze. E secondo voi chi preparerà questa dichiarazione? Ovviamente l’azienda che ancora una volta dovrà fare da badante ai propri dipendenti accollandosi altri oneri solo per evitare complicazioni maggiori.

E se il lavoratore, a cui abbiamo recuperato il benefit, potesse far valere una causa di forza maggiore che gli ha impedito la presentazione delle quietanze? E se addirittura contestasse che la norma non prevede – ed è vero – alcuna scadenza per la dimostrazione dell’avvenuto pagamento delle utenze, come la mettiamo? Apriamo un contenzioso con un nostro lavoratore, magari proprio con uno di quelli “strategicamente indispensabili”?

IL CANONE RAI IN BOLLETTA 

Vi è infine una questione che l’Agenzia non ha minimamente affrontato.

L’importo del canone Rai contenuto della bolletta per l’energia elettrica è rimborsabile in esenzione o deve essere scorporato non riguardando direttamente una utenza domestica per l’energia elettrica?

Nel secondo caso – che è la risposta che si è dato chi scrive – è quasi certo che il 99 per cento dei lavoratori non lo farà. Con tutte le problematiche connesse ad un futuro recupero da parte dell’Agenzia Entrate che potrebbe coinvolgere anche il datore di lavoro che, avendo acquisito le singole fatture, non ha provveduto allo scorporo di tale importo.

CONCLUSIONI FINALI

Ci si consenta alcune considerazioni.

  1. È altamente improbabile che un lavoratore si dedichi con profitto alla predisposizione di una corretta autocertificazione contenente tutte le informazioni necessarie e che consenta così l’erogazione del benefit senza che il datore di lavoro corra il rischio di future contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Più facile che la dichiarazione debba essere rispedita al mittente per le dovute integrazioni (con annesse spiegazioni).
  2. È impensabile che l’azienda decida di coadiuvare i propri lavoratori nella predisposizione della predetta autocertificazione anche, ma non solo, per ragioni di tempistiche ristrette.
  3. Anche la sola acquisizione delle fatture in-testate al lavoratore comporta per l’azienda un lavoro (ergo la responsabilità) di verifica della competenza temporale delle fatture, della loro intestazione, dell’intervenuto pagamento (o successivo), dello scorporo del canone Rai, la quantificazione del rimborso spettante.

Per questa serie di motivi si ritiene che la maggior parte delle aziende – fatte salve le situazione più lineari – sarà costretta a rinunciare a rimborsare le spese sostenute per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. E questo a causa di istruzioni cervellotiche. Molto più semplice optare per buoni spesa presso un supermercato o dei più facilmente spendibili buoni carburante.

Che dire? Un’altra norma scritta male e un’altra circolare applicativa pensata infischiandosene delle problematiche che le regole imposte (rectius inventate) per l’erogazione di tali benefits creano.

“Complicare è facile, semplificare è difficile”, diceva un certo Bruno Munari.

Eh già, i concetti di semplificazione e si sburocratizzazione, questi sconosciuti.


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