HR&Organizzazione – LE CONSEGUENZE DELLA GREAT RESIGNATION: il recesso dei talenti e le nuove skill a sostegno della biodiversità umana

Barbara Garbelli, Consulente del Lavoro in Pavia, Esperta in materia  di sicurezza sul lavoro, Presidente Ancl UP Pavia

Nello scorso appuntamento abbiamo parlato di come il mondo del lavoro stia cambiando, ragionando nello specifico dei nuovi fenomeni che si stanno manifestando sempre di più anche nel nostro paese: dalla great resignation o dimissioni di massa, al quiet quitting e al job creep.

Ma che cosa ci dobbiamo aspettare dal nuovo anno dopo il fenomeno delle “Grandi dimissioni”?

Il 2023 sembrerebbe favorire quella che si può definire una vera e propria “Recessione dei Talenti”.

Le nuove esigenze di mercato (e anche lavorative) porteranno quasi sicuramente anche altri mutamenti: sarà opportuno non farsi trovare impreparati.

LA RECESSIONE DEI TALENTI: UN RISCHIO REALE?

Nei periodi di crisi, sia nel periodo pandemico che abbiamo affrontato recentemente, sia in quelli futuri a cui ci stiamo affacciando, caratterizzati dagli aumenti dei costi sostenuti per il consumo dell’energia e per l’acquisto di prodotti a vario titolo, le aziende tendono a reagire riducendo gli investimenti: meno assunzioni o nel peggiore dei casi licenziamenti individuali o collettivi; questo nel tentativo di mantenere un equilibrio che permetta loro di affrontare situazioni di crisi. Ovviamente ipotizzare che ricorrere ai licenziamenti di massa sia una soluzione praticabile per sfidare le difficoltà non è corretto: molte imprese per contenere le perdite hanno maggior interesse a mantenere in forza i cosiddetti talenti. Parimenti un lavoratore competente che decide di abbandonare il proprio impiego reca un danno non solo in termini di costo, ma anche in termini di tempo: la ricerca per individuare un sostituito che sia altrettanto talentuoso non è infatti immediata. Dopo le grandi dimissioni, stiamo oggi assistendo ad una vera e propria “recessione dei talenti”: i lavoratori decidono di andarsene ed è difficile trovare qualcuno con le stesse competenze che li sostituisca, portando così i datori di lavoro a investire maggiore liquidità nelle attività di ricerca e selezione di nuovo personale qualificato.

È innegabile che avere, coltivare e mantenere i talenti in azienda rappresenti un elemento determinante per aumentare il livello di produttività e fondamentale per il successo aziendale.

QUALI SOLUZIONI PER PREVENIRE IL RECESSO DEI TALENTI?

Le stime della Federal Reserve prevedono che in Italia il tasso di disoccupazione salirà al 4,4% nel 2023, rispetto al 3,7% dell’ottobre 2022. Inoltre nella prima metà del 2023, secondo le proiezioni sul mercato del lavoro effettuate dal Conference Board, potrebbero essere persi circa 900.000 posti di lavoro, con la conseguente diminuzione della partecipazione generale alla forza lavoro. Le imprese che hanno l’esigenza di mantenere in forza i propri talenti contrasteranno il  fenomeno della recessione registrando un impegno nel migliorare l’esperienza lavorativa: l’introduzione di maggiori benefit ai propri dipendenti avrà un impatto positivo sul benessere e sulla qualità di vita delle persone; di conseguenza i lavoratori saranno più motivati nel prendersi cura della propria salute, delle proprie risorse e del loro percorso lavorativo.

Sarà necessario pertanto un cambio di mentalità ancora più importante rispetto a quello di questi ultimi due anni: infatti dallo studio svolto da Forrester Research, Future Of Work Survey 2022, è emerso che:

  • quattro aziende su dieci che hanno adottato il lavoro agile hanno affermato di essere interessate ad abbandonare tali modalità di lavoro, per favorire il lavoro in sede;

d’altro canto invece

  • il 68% dei dipendenti tra quelli con possibilità di lavorare in modalità agile, afferma di voler ricorrere allo smart working più spesso rispetto al periodo precedente la pandemia.

Dalla raccolta dei dati di tale ricerca, il report proposto indica che nel 2023:

  • le aziende più in difficoltà saranno quelle che non ascolteranno né collaboreranno con i propri dipendenti nel definire nuove politiche di lavoro agile;
  • la metà dei datori di lavoro che decideranno di imporre il ritorno in ufficio negando ai dipendenti la possibilità di scegliere il lavoro da remoto andrà incontro al fallimento.

In sostanza, i lavoratori non vogliono rinunciare al lavoro agile, nemmeno nei casi in cui i datori di lavoro incentivino il ritorno in azienda.

Per non farsi trovare impreparati appare quindi opportuno investire:

  • nella tecnologia;
  • nella riorganizzazione degli uffici;
  • nella sostenibilità;
  • nel lavoro ibrido e da remoto ma soprattutto in un cambio radicale di mentalità e approccio al lavoro.

DA COSA SONO ATTRATTI OGGI I LAVORATORI?

Tutte le ricerche effettuate concordano nel fatto che nel 2023 i lavoratori presteranno molta più attenzione alla flessibilità che il lavoro offre e, di fatto, la flessibilità sarà una condizione imprescindibile per lo svolgimento della propria attività.

Il rapporto 2022 Global Talent Trends di LinkedIn ha segnalato che il miglioramento delle competenze per il tramite delle occasioni di crescita in azienda è tra le maggiori priorità per i lavoratori di oggi; tale priorità è seconda solo alla retribuzione e al work life balance, ovvero l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la flessibilità.

Inoltre 2 lavoratori su 3 hanno dichiarato che potrebbero abbandonare il loro attuale lavoro se non presenterà abbastanza opportunità per lo sviluppo delle proprie competenze o l’avanzamento di carriera.

Conoscere queste ambizioni rappresenta per le imprese l’opportunità di poter conservare e incentivare la forza lavoro attuale, oltre ad avere tutti i know how necessari per attirare nuovi talenti.

La consapevolezza di doversi allineare con un mondo del lavoro sempre più digitalizzato comporta il riconoscimento ai lavoratori di avvalersi del lavoro agile, ma non solo: sviluppa un senso critico e di analisi che permette di rendere il lavoro agile performante ed efficace. Secondo una recente ricerca svolta da Airspeed infatti almeno 1 lavoratore remoto su 3 si sente solo, disconnesso o isolato, nonostante il desiderio di svolgere parte della propria attività da remoto; la maggior parte dei soggetti intervistati ritiene che i propri colleghi non si preoccupino per loro e la problematica è talmente rilevante da portare 2 dirigenti su 3 a ritenere che i propri dipendenti potrebbero dimettersi, auspicando ad una realtà lavorativa maggiormente aggregante. Maturare la consapevolezza, insieme all’investimento in nuove tecnologie, può far sì che il proprio ambiente di lavoro diventi maggiormente attrattivo e attento alle modalità di lavoro tipiche dell’era digitale: indipendentemente dalle dimensioni aziendali, tutti i datori di lavoro dovranno adattarsi alle nuove tecnologie per soddisfare le future aspettative dei dipendenti. Il rischio collegato alla possibile recessione dei talenti rende necessario un cambiamento significativo per ricalibrare il modello operativo a cui siamo abituati, così da soddisfare le nuove aspettative dei lavoratori.

Non solo lavoro agile, ma anche lavoro sostenibile: i lavoratori stanno diventando sempre più attenti al modo in cui consumiamo, produciamo i prodotti e sviluppiamo i servizi. Su questo tema, il “Cone Communications Millennial Employee Engagement Study” già nel 2016 aveva evidenziato come il 64% dei lavoratori appartenenti alla generazione dei millennials (50% della forza lavoro negli Stati Uniti) prendesse seriamente in considerazione gli impegni sociali e ambientali di un’azienda prima di stipulare un contratto di lavoro con quest’ultima. In generale, lo studio sottolineava come le nuove generazioni siano decisamente più sensibili a pratiche di corporate social responsibility e agli impatti generati dall’attività di un’azienda e questo trend è in costante aumento, anche in Italia.

Perché la flessibilità ed il work life balance assumono un valore sempre maggiore? Per effetto di quello che è conosciuto come paradosso della felicità, attraverso cui le scelte dei lavoratori risultano essere il frutto del grado di benessere raggiunto dalla società: maggiore è la ricchezza, minore è la felicità collegata al reddito percepito; questo implica che con l’aumentare della ricchezza procapite i premi in denaro verranno sostituiti nella preferenza di flessibilità e misure di wellbeing. A dimostrarlo è Richard Easterlin nel 1974, secondo cui nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e ricchezza.

Clicca qui per la rappresentazione grafica del paradosso di Easterlin.

COSA DESIDERA INVECE UN DATORE DI LAVORO? DALLE SOFT ALLE POWER SKILLS

Se da un lato i lavoratori richiedono più flessibilità e sostenibilità, dall’altro quali sono le competenze che ad oggi desiderano i datori di lavoro?

La pandemia ha spinto le aziende di tutto il mondo ad accelerare il ritmo di automazione e trasformazione digitale e, di conseguenza, a rivedere le competenze trasversali (soft skills). Per “soft skills”, si intendono tutte quelle competenze ed abilità di carattere generale che rientrano nella sfera personale e non tecnica, e riguardano ad esempio l’intelligenza emotiva, le aspirazioni e la gestione di situazioni complesse private e lavorative. Si tratta di abilità e conoscenze acquisite con l’esperienza ed il vissuto, che normalmente non fanno parte delle competenze sviluppate durante i classici percorsi di apprendimento. Si tratta di quelle capacità che riguardano il saper stare con gli altri, saperli motivare, sapersi spiegare, saper risolvere situazioni complesse, saper prendere decisioni anche in assenza di informazioni, essere creativi, avere autoconsapevolezza e via dicendo.

Secondo una recente ricerca svolta da IBM, le soft skill sono le competenze che tutti i CEO apprezzano e cercano disperatamente nelle personale.

Le competenze umane sono utilissime soprattutto quando si ha direttamente a che fare con la quotidianità sempre più imprevedibile e cangiante che caratterizza il mondo contemporaneo.

Le cosiddette “professioni senza routine” si sono sviluppate e hanno preso maggiormente

piede negli ultimi anni. Secondo una ricerca del National Bureau of Economic Research di Cambridge, tra il 1976 e il 2014 questa tipologia di professioni ha avuto un tasso di crescita 25 volte più alto rispetto a quello delle professioni routinarie.

La maggior parte di noi, oggi, è di fatto impiegato proprio in professioni senza routine: le job description cambiano spesso e, ancora più frequentemente, cambia il perimetro di azione delle attività: bisogna continuamente sapersi adattare e saper collaborare con gli altri anche in condizioni di estrema incertezza e complessità. E’ necessario saper selezionare ciò che è importante e saper leggere tra le righe, ma per fortuna queste capacità sono accessibili a tutti, perché sono parte delle attitudini naturali degli esseri umani. L’esperto di risorse umane John Bersin rinomina le competenze soft definendole “power skill”.

Nella sua lista di venti power skill si possono trovare termini come la gioia (capacità tutta da esplorare: magari in italiano la tradurremmo con il termine entusiasmo), la generosità, la gentilezza, la pazienza, la tenacia… più che competenze sembrano virtù. Ma trovano spazio anche l’etica, la capacità di sorprendersi e di perdonare, l’umiltà, l’integrità, l’ottimismo: attitudini e valori che evidentemente si trasformano in saper fare.

E infine, per tornare in un’area vagamente più familiare, vi sono sia il “drive” che la capacità di seguire gli altri, la gestione del tempo, la capacità di apprendere, la flessibilità e il teamwork. Il fatto è che queste capacità non si insegnano né a scuola né all’università, per questo motivo è importante investire sullo sviluppo di nuovi modi per misurare e migliorare tali competenze.


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