DECRETO TRASPARENZA: un regime sanzionatorio più soft?

di Alberto Borella, Consulente del lavoro in Chiavenna (So)

Il nuovo D.lgs. n. 104 del 27 giugno 2022, meglio conosciuto come Decreto Trasparenza, attuativo della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea, presenta varie criticità interpretative.
Una questione che ha attirato in particolare la mia attenzione è l’apparato sanzionatorio previsto dall’art. 4 del D.lgs. n. 152/1997, rivisto dal nuovo D.lgs. n. 104/2022, che oggi quindi così dispone:

art. 4. – Sanzioni

1. Il lavoratore denuncia il mancato, ritardato, incompleto o inesatto assolvimento degli obblighi di cui agli articoli 1, 1-bis , 2, e 3, e 5, comma 2, all’Ispettorato nazionale del lavoro che, compiuti i necessari accertamenti di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, applica la sanzione prevista all’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
Contestualmente il Decreto Trasparenza interviene sul comma 2 dell’art. 19 del D.lgs. n. 276/2003, così modificandolo:
art. 19 – Sanzioni amministrative
2. La violazione degli obblighi di cui all’articolo 1, commi da 1 a 4 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.500 per ogni lavoratore interessato. In caso di violazione degli obblighi di cui all’articolo 1-bis, commi 2, 3, secondo periodo, 5 del medesimo decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, si applica, per ciascun mese di riferimento, la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 750 euro …
… omissis …
In caso di violazione degli obblighi di cui al comma 6, secondo periodo, del medesimo articolo 1-bis si applica, per ciascun mese in cui si verifica la violazione, la sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 1.500 euro.

IL NUOVO QUADRO SANZIONATORIO

Il regime sanzionatorio risulta sostanzialmente modificato ma soprattutto di non facile lettura, complice anche l’infelice scelta di prevedere l’importo della sanzione in una norma, il D.lgs. n. 276/2003, per la violazione di una parte degli obblighi previsti da un’altra norma, il D.lgs. n. 152/1997, e una seconda, proprio il D.lgs. n. 152/1997, che rimanda a sua volta al D.lgs. n. 276/2003 per la quantificazione dell’importo da pagare, sia per la violazione degli stessi obblighi (già sanzionati dal D.lgs. n. 276/2003) che per l’inosservanza di ulteriori obblighi del D.lgs. n.
152/1997 ma in questo caso – e ciò emerge dalla interpretazione letterale e combinata delle due disposizioni – in base a quello che è da intendersi un chiaro requisito di procedibilità: la preventiva denuncia del lavoratore all’Ispettorato del lavoro.
Per una migliore leggibilità e comprensibilità del provvedimento sarebbe stato opportuno, a detta di chi scrive, evitare questa sovrapposizione di norme e di richiami ed inserire tutto in un unico articolo. In questo marasma sorge spontanea una domanda: che modo di legiferare è questo? E sì che le modifiche ai due D.lgs., con un confuso incrocio di rimandi, sono contenute proprio nel Decreto Trasparenza! Bella coerenza, non c’è che dire.
Ma torniamo a noi evidenziando in primis come la circolare Inl n. 4 del 10 agosto 2022 non si sia espressa sulla questione “Sanzioni” (problematica che auspichiamo verrà presto affrontata) come del resto sulle altre
criticità riguardanti l’informativa tra cui: la formazione, altri congedi retribuiti, forme di protezione in materia di sicurezza sociale, sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. Probabile che nemmeno al Ministero del
Lavoro – il più diretto interessato e coinvolto visto che parliamo di un Decreto legislativo, quindi scritto dall’Esecutivo – abbiano ancora le idee chiare. E questo è tutto dire. L’argomento viene invece trattato nella circolare n. 11 del 18 agosto 2022 della Fondazione Studi, che ritiene la denuncia del lavoratore non costituire condizione di procedibilità, derubricandola a mero ausilio agli organi di vigilanza per quanto di loro non
specifica e diretta conoscenza.
Con tutto il dovuto rispetto si ritiene possibile una diversa lettura. La questione appare infatti a chi scrive più complessa e merita alcuni distinguo. Proviamo insieme a capirci qualcosa di più accennando anche un’analisi ragionata su alcuni degli obblighi previsti dal Decreto.

L’ART. 19, CO. 2, DEL D.LGS.N. 276/2003

Come abbiamo visto l’art. 19, comma 2, del D.lgs. n. 276/2003 prevede una sanzione per la violazione dei seguenti obblighi previsti dal D.lgs. n. 152/1997:
a. mancata comunicazione al lavoratore, secondo le modalità di cui al successivo comma 2, delle previste informazioni sul rapporto di lavoro (art. 1, comma 1).
b. mancato assolvimento dell’obbligo di informazione mediante consegna, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e prima dell’inizio dell’attività lavorativa, del contratto individuale o di copia del modello Unilav (art. 1, comma 2).
c. mancata integrazione entro 7 giorni dall’inizio della prestazione – ovvero entro un mese per le informazioni di cui alle lettere g), i), l), m), q), e r) – delle informazioni non contenute nei documenti indicati al comma 2,
lettere a) e b) ovvero nel contratto individuale o nel modello Unilav (art. 1, comma 3).
d. mancata consegna, in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del termine di un mese dalla data dell’instaurazione, delle informazioni non contenute nei noti documenti previsti dal comma 2,
lettere a) e b) (art. 1, comma 4).
e. mancata informativa al lavoratore circa l’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio (art. 1-bis, comma 2). Il comma deve essere letto in stretto riferimento agli obblighi di cui al comma 1, tenendo anche presente che tutti gli obblighi informativi di cui all’art. 1-bis gravano anche sul committente nell’ambito sia dei rapporti di lavoro di cui
all’art. 409, n. 3, c.p.c. che dei rapporti di cui all’art. 2, comma 1, del D.lgs. n. 81/2015 (art. 1-bis, comma 7).
f. mancato riscontro entro 30 giorni alla richiesta del lavoratore di accesso ai dati e di ulteriori informazioni concernenti gli obblighi di cui al comma precedente (art. 1-bis, comma 3, secondo periodo). Qui va evidenziata una criticità non comprendendo quali siano le ulteriori informazioni, pertanto diverse da quelle obbligatorie e già fornite, a cui il lavoratore avrebbe interesse ad accedere. Il rischio è di trovarsi di fronte ad istanze pretestuose e ricattatorie.
g. mancata informazione scritta, almeno 24 ore prima, di ogni modifica delle informazioni già fornite ai sensi del comma 2 (art. 1-bis, comma 5).
Un commento a parte merita invece la violazione contestabile per i casi di:

h. mancata comunicazione – nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati – delle informazioni e dei dati di cui ai commi da 1 a 5 dell’art. 1-bis alle rappresentanze sindacali aziendali ovvero alla rappresentanza sindacale unitaria e, in assenza delle predette rappresentanze, alle sedi territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (art. 1-bis, comma 6, secondo periodo).
Di questo aggravio di burocrazia – sanzionato peraltro con ben 400 euro (sempre che si adempia alla diffida prevista dall’art. 13 del D.lgs. n. 124/2004) per ciascun mese in cui si verifica la violazione (e qui, a chi scrive, sfugge il riferimento temporale) – non se ne sentiva davvero il bisogno.

L’ART. 4 DEL D.LGS. N. 152/1997

Anche nel caso dell’art. 4 del D.lgs. n. 152/1997  le modifiche sono rilevanti.
La  prima cosa che salta all’occhio è che non è   più previsto il meccanismo che prevedeva: a) la denuncia del lavoratore all’Ispettorato; b) l’invito di quest’ultimo al datore di lavoro ad adempiere entro il termine di quindici giorni; c) l’applicazione della sanzione in caso di inottemperanza alla richiesta. Oggi il lavoratore denuncia e l’Ispettorato, compiuti i necessari accertamenti, applica la sanzione.
Altro rilievo è come all’art. 4 venga citato impropriamente, quale destinatario della denuncia del lavoratore, l’Ispettorato nazionale anziché quello territoriale. Dettagli o la cosa potrebbe avere delle conseguenze?
Il fatto però più rilevante – ne abbiamo già accennato – è che il predetto art. 4 prevede la sanzionabilità, su denuncia del lavoratore, sia per l’inadempimento agli specifici obblighi informativi indicati nell’art. 19, comma 2, del D.lgs. n. 276/2003, ma anche per l’inosservanza degli ulteriori e specifici obblighi informativi, imposti sempre dal D.lgs. n. 152/1997.
Di fatto, ad una prima lettura, solo a seguito di formale, circostanziata (e secondo chi scrive pure spontanea) segnalazione del lavoratore – denuncia che, ove esistente, dovrebbe essere citata nelle motivazioni del verbale pena l’illegittimità dello stesso – dovrebbero potersi sanzionare le seguenti ulteriori violazioni:
i. mancata comunicazione al lavoratore delle informazioni, previste per i lavoratori dipendenti, anche nell’ambito dei rapporti di lavoro di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., dei rapporti di cui all’art. 2, comma 1, del D.lgs. n. 81/2015, nonché dei contratti di prestazione occasionale di cui all’art. 54-bis del D.l. n. 50/2017 (art. 1, comma 5). Qui la criticità risiede nel fatto che questa informativa è dovuta nei limiti della compatibilità: un lavoro di analisi non semplice e foriero di contenzioso.
l. negato accesso al lavoratore alle informazioni già fornite; mancata conservazione della prova di avvenuta consegna delle informazioni stesse (art. 1, comma 8). Per i termini di conservazione si deve fare riferimento all’ultimo periodo dell’art. 3 del D.lgs. n. 104/2022 che li prevede per la durata di cinque anni dalla conclusione del rapporto di lavoro. Questa previsione merita una censura perché potrebbe accadere il caso di un dipendente assunto il 13 agosto 2022 e in forza per 40 anni nella medesima azienda, quindi fino al 12 agosto 2062. La mancata informativa potrebbe quindi essere sanzionata, su denuncia del lavoratore, sino al 12 agosto 2067. Ovvero 45 anni dopo l’assunzione. In pratica disponendo – seppur solo previa la denuncia del lavoratore interessato – un allungamento dei termini prescrizionali previsti dall’art. 28 della Legge n. 689 del 24 novembre 1981, secondo il quale il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la  violazione. Ma in fondo chi se ne importa: l’importante è portarsi a casa dei soldini. m. mancata integrazione all’informativa già data al lavoratore con le istruzioni riguardo la sicurezza dei dati e l’aggiornamento del registro dei trattamenti riguardanti le attività di cui al comma 1 dell’art. 1-bis, incluse le attività di sorveglianza e monitoraggio (art. 1-bis, comma 4). Andrebbe chiarita la portata di questo obbligo onde evitare la consegna di corposi manuali di cui il lavoratore non se ne farà nulla secondo l’assioma che cento informazioni equivalgono a zero informazioni.
n. mancata comunicazione al lavoratore – nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati – in modo trasparente, in formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico delle informazioni e dei dati di cui ai commi da 1 a 5 dell’art. 1-bis (art. 1-bis, comma 6, primo periodo). Qui non si condivide sia l’utilizzo di aggettivi di difficile e ambigua interpretazione ma soprattutto la previsione di un dispositivo automatico per la lettura: a parte capire esattamente a cosa ci si riferisca, l’adempimento potrebbe risultare particolarmente oneroso per le aziende poco o per nulla strutturate.
o. mancato riscontro alla richiesta del Ministero del lavoro e dell’Ispettorato nazionale del lavoro alla comunicazione delle informazioni e dati di cui ai commi da 1 a 5 dell’art. 1-bis e l’accesso agli stessi (art. 1-bis, comma 6, terzo periodo).
p. mancata informativa prevista per i casi di prestazioni di lavoro all’estero nell’ambito di una prestazione  transnazionale di servizi, sia per i distacchi in uno Stato membro che in uno Stato terzo (art. 2, commi 1, 2 e 3).
q. mancata comunicazione al lavoratore, entro il primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica, di qualsiasi variazione degli elementi di cui agli articoli 1, 1-bis e 2 che non derivino direttamente dalla modifica di
disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle clausole del contratto collettivo (art. 3). Qui il Legislatore non ha considerato che qualora il Ccnl prevedesse una modifica del periodo di preavviso il lavoratore che
volesse dimettersi non saprebbe che i termini di preavviso sono ora diversi rispetto a quanto comunicatogli in sede di assunzione. Un bel ciao alla informazione trasparente. Merita anche qui un commento specifico il
richiamo alla violazione prevista per:

r. il mancato riscontro entro trenta giorni, e parliamo dei rapporti di lavoro in corso alla data di entrata in vigore del D.lgs. n. 152/1997, alla richiesta del lavoratore di accesso alle informazioni di cui agli articoli 1, 2 e 3 (art. 5, comma 2).
Il perché di questa specifica attenzione? Semplicemente perché il predetto art. 5 del D.lgs. n. 152/1997 – che riguardava le disposizioni transitorie per i rapporti di lavoro in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento del 1997 – non risulta modificato dal D.lgs. n. 104/2022.
Si tenga peraltro presente che lo stesso Decreto Trasparenza prevede, come ovvio, una propria disciplina transitoria disponendo all’art. 16, comma 2 che: … il datore di lavoro o il committente, su richiesta scritta del lavoratore già assunto alla data del 1° agosto 2022, è tenuto a fornire, aggiornare o integrare entro sessanta giorni le informazioni di cui agli articoli 1, 1-bis, 2 e 3 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, come modificati
dall’articolo 4 del presente decreto. In caso di inadempimento del datore di lavoro o del committente, si applica la sanzione di cui all’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Ora, l’art. 5, comma 2, del D.lgs. n. 152/1997 – espressamente richiamato dal nuovo art. 4 dello stesso provvedimento e, ribadiamolo,
mai abrogato – prevede un termine di trenta giorni per dare riscontro al lavoratore che, ove inascoltato, denuncerà il fatto all’Ispettorato, mentre il comma 2 dell’art. 16 del D.lgs. n. 104/2022 ne prevede ben sessanta, senza peraltro sia chiaro se per la sanzione sia necessaria la specifica  denuncia del lavoratore o basti una presa d’atto del fatto in sede ispettiva.
Insomma, il solito legislatore pasticcione.
Mi chiedo quando vedrà la luce un Decreto Trasparenza, con destinatarie le imprese, che imponga al Legislatore l’emanazione di norme chiare, limpide e comprensibili