COMPETENZE PROFESSIONALI nell’era della transizione digitale*

Antonella Rosati, Ricercatrice del Centro Studi e Ricerche

Levi Alberto analizza la rilevanza delle competenze professionali della forza lavoro nella transizione digitale

Con il presente contributo l’Autore mira ad analizzare i recenti segnali normativi che testimoniano l’impellenza di una piena realizzazione del diritto alla formazione permanente, specie in un momento come quello attuale, determinato dalle criticità derivanti dal connubio tra quarta rivoluzione industriale e pandemia.

LA FORMAZIONE PERMANENTE: UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

Il profondo e inarrestabile processo di trasformazione del lavoro che la rivoluzione digitale ha generato pone ancora una volta all’ordine del giorno l’importanza della formazione permanente del lavoratore. Lo conferma la particolare enfasi che pone sulla formazione il recente Patto Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), presentato al Parlamento nell’aprile 2021. In particolare, gli obiettivi strategici che il Piano si propone sono: l’aumento del tasso di occupazione, facilitando le transizioni lavorative e dotando le persone di una formazione adeguata; la riduzione del cosiddetto mismatch di competenze, vale a dire del disallineamento tra le perizie del lavoratore e le competenze richieste dal mercato1; l’aumento della quantità e della qualità dei programmi di formazione dei disoccupati e dei giovani “in un contesto di investimento anche sulla formazione continua degli occupati” 2. Come viene evidenziato, infatti, “l’apprendimento di nuove competenze (reskilling) e il miglioramento di quelle esistenti per accedere a mansioni più avanzate (upskilling) sono fondamentali per sostenere le transizioni verde e digitale, potenziare l’innovazione e il potenziale di crescita dell’economia, promuovere l’inclusione economica e sociale e garantire occupazione di qualità” 3. Tuttavia, il quadro regolativo nazionale di questi anni è stato dominato da una pervicace incapacità di concretizzare in modo organico, sul piano applicativo, le evidenze cui era pervenuta la dottrina, con riguardo al tema della formazione permanente.

LA NECESSITÀ DI UN RILANCIO DEL SISTEMA DUALE PER UN APPRENDIMENTO ORIENTATO AL LAVORO

Una delle principali cause della difficoltà del Legislatore di incidere in modo adeguato e concreto in materia di formazione è stata indubbiamente rappresentata dalle criticità che accompagnano il giovane nel delicato passaggio dal mondo dell’apprendimento a quello del lavoro4. È necessario un cambiamento di rotta, attuabile attraverso un potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro e dei tirocini formativi, da un lato, e del contratto di apprendistato, dall’altro, al fine di sfruttare le potenzialità in termini di sviluppo didattico e professionale dei giovani che possono derivare da una sinergia tra scuola, università e impresa. In questa prospettiva, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha elaborato un progetto con l’obiettivo di potenziare il sistema duale, “al fine di rendere i sistemi di istruzione e formazione più in linea con i fabbisogni del mercato del lavoro, nonché di promuovere l’occupabilità dei giovani e l’acquisizione di nuove competenze (approccio “learning on-the-job”), soprattutto nelle aree più marginali e periferiche”. In particolare, tale progetto “promosso nel più ampio contesto del Piano Nazionale Nuove Competenze, mira a favorire l’introduzione e lo sviluppo di corsi di formazione che rispondano alle esigenze delle imprese e del tessuto produttivo locale, riducendo così il mismatch tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e i programmi formativi del sistema di istruzione e formazione” 5. Si tratta di un mondo, quello dell’education, che dovrebbe avere con quello del lavoro una relazione dialogica costante.

Da un lato, infatti, la scuola italiana si caratterizza per il forte imprinting teorico e culturale, pur nella piena consapevolezza di dover trasferire ai giovani anche quel corredo di conoscenze e competenze di carattere applicativo che servono nel mondo del lavoro. Dall’altro lato, specie in una fase di metamorfosi tecnologica e organizzativa come quella attuale, l’impresa è in grado di cogliere con anticipo le nuove competenze, con il vantaggio di sapere in quale direzione orientare lo sviluppo e la creazione delle professionalità che saranno poi maggiormente richieste6. È esattamente in questo solco che si colloca il recente Accordo Quadro tra Unioncamere e Federmeccanica del 20 maggio 2021 che fissa una serie di azioni operative: un’analisi “dei fabbisogni professionali e formativi del settore metalmeccanico, per la costruzione e condivisione di mappe di competenze e nuovi profili da formare”; una specifica promozione del sistema duale, anche attraverso il potenziamento del contratto di apprendistato e degli Istituti Tecnici Superiori; un’attività di supporto al placement, contribuendo “all’incremento dell’efficacia delle politiche attive del lavoro con particolare riferimento all’orientamento, finalizzato alla riduzione del mismatch domanda/offerta di lavoro e ai processi di transizione scuola/università e lavoro” 7.

IL POTENZIAMENTO ORGANIZZATIVO DEI CENTRI PER L’IMPIEGO

Un altro importante macro-obiettivo individuato dal Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) è costituito dal rafforzamento del sistema dei Centri per l’impiego. In particolare, il PNRR evidenzia l’importanza di promuovere “interventi di capacity building a supporto dei Centri per l’Impiego, con l’obiettivo di fornire servizi innovativi di politica attiva, anche finalizzati alla riqualificazione professionale, mediante il coinvolgimento di stakeholder pubblici e privati, aumentando la prossimità ai cittadini e favorendo la costruzione di reti tra i diversi servizi territoriali” 8.

A questo riguardo, tra l’altro, il PNRR prevede l’istituzione di un programma nazionale denominato GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori), il quale comporta un sistema di presa in carico unico dei disoccupati e delle persone in transizione occupazionale9. Un tema cruciale, strettamente correlato a quello del potenziamento dei Centri per l’impiego, è rappresentato dalla validazione e dalla certificazione delle competenze acquisite dal lavoratore all’esito di un determinato percorso di formazione.

In particolare, il fascicolo elettronico del lavoratore è stato introdotto dall’art. 14 del D.lgs. n. 150/2015, in sostituzione del libretto formativo del cittadino, nel quale dovevano essere registrate “la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle regioni, nonché le competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli indirizzi dell’Unione europea in materia di apprendimento, purché riconosciute e certificate” 10. Peraltro, il fascicolo elettronico del lavoratore

– è stato sottolineato – “nasce già come supporto informativo parziale”, in quanto in esso sono registrati “solo i percorsi formativi, non le competenze sviluppate” (come invece era previsto per il libretto formativo) e soltanto i percorsi “erogati da enti accreditati ed inseriti nell’albo nazionale11.

Alle lacune derivanti dai ritardi nell’implementazione del sistema di certificazione delle competenze hanno cercato talvolta di porre rimedio le parti sociali, le quali, specie nell’ambito dei Fondi Interprofessionali, promuovono percorsi formativi che portino a una certificazione 12.

Si tratta di rimedi con un’operatività tutt’altro che generale che non hanno fatto altro che avvalorare la necessità di un intervento da parte del Legislatore, recentemente concretizzatosi nel decreto interministeriale del 5 gennaio 2021. Con tale provvedimento, in particolare, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha adottato le “Linee Guida per l’interoperatività degli enti pubblici titolari” le quali, di fatto, rappresentano il presupposto per l’adozione e la messa a regime del sistema nazionale di certificazione delle competenze.

IL REDDITO DI CITTADINANZA: RIFLESSI SUL PIANO DELLA FORMAZIONE DEL LAVORATORE

Il tema della formazione si lega indissolubilmente all’istituto del reddito di cittadinanza, obiettivo che il Legislatore si è posto come mezzo di contrasto alla povertà 13. A questo proposito, una prima connessione relativa al tema della formazione viene a emersione con riguardo al principio della condizionalità. L’introduzione del

reddito di cittadinanza ha avuto, tra i vari scopi, il fatto di costituire un incentivo a rientrare nel mercato del lavoro anche attraverso l’eventuale previsione di un percorso formativo vincolante 14. D’altra parte, ciò è perfettamente conforme al c.d. active inclusion approach di derivazione europea, secondo cui “quasi tutti i legislatori hanno (…) previsto doverosi comportamenti attivi dei beneficiari” di un determinato diritto sociale, come, appunto, l’obbligo “di accettazione di offerte di lavoro e/o di partecipazione a programmi di formazione e di reinserimento sociale e/o professionale15.

In questa direzione, l’art. 7, comma 5, lett. c), del D.l. n. 4/2019, convertito nella Legge n. 26/2019, ha previsto come causa di decadenza dal reddito di cittadinanza il fatto di non partecipare, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione proposte al soggetto 16. Oltre alla condizionalità, poi, l’introduzione del reddito di cittadinanza ha una seconda connessione con il tema della formazione. In particolare, per beneficiare del reddito di cittadinanza è necessario essere disponibili a effettuare attività al servizio della comunità 17. Con tutta evidenza, ciò dovrebbe ragionevolmente presupporre un minimo di formazione mirata, quantomeno per gruppo di soggetti, perché è impensabile che possa concretizzarsi una diretta impiegabilità in lavori a favore della comunità, senza formazione.

Basti pensare anche soltanto alle necessità formative in materia di sicurezza sul lavoro, finalizzate al fatto che il soggetto, il quale svolge un lavoro socialmente utile possa prendersi cura della propria salute e sicurezza, oltre che di quella dei terzi, eventualmente presenti sul luogo di lavoro.

LA SENSIBILITÀ DELLE PARTI COLLETTIVE PER LA FORMAZIONE CONTINUA DEGLI OCCUPATI

Non può non farsi almeno un cenno alla grande attenzione che le parti collettive hanno da sempre dedicato al tema della formazione permanente 18.

D’altra parte, a maggior ragione in un contesto in così profonda trasformazione come quello attuale, l’autonomia collettiva è la sola a poter essere in grado di fornire “le risposte puntuali ed adattabili per i vari settori” che le diverse specificità esigono19.

Un paio di considerazioni paiono doverose. Un primo riferimento è alle forme di welfare aziendale che paiono ammettere anche iniziative di formazione permanente, realizzando quindi un’operazione win-win, dove alla riduzione del cuneo fiscale si somma il doppio vantaggio della convergenza di interessi: il lavoratore guadagna in competenza e, quindi, occupabilità mentre l’impresa si avvantaggia della crescita professionale.

Una seconda considerazione da fare, poi, riguarda i fondi paritetici interprofessionali per la formazione20.

La bilateralità di questo specifico contesto fa emergere ancora una volta lo stretto legame con il tema del welfare aziendale appena esaminato. Del resto, “la diffusione della formazione professionale e continua (…) può rientrare a buon titolo nel welfare inteso come investimento sociale” ed è proprio su questo elemento che si fonda la sfida giocata dalle parti sociali attraverso la gestione dei fondi paritetici 21.

Da sempre “il principale canale di finanziamento della formazione continua (…) passa per gli enti bilaterali” e la massiccia operatività dei fondi interprofessionali ne rappresenta la concretizzazione sul piano applicativo, attraverso la promozione di piani formativi aziendali, territoriali o settoriali, concordati con le parti sociali 22.

Il ruolo primario svolto dall’autonomia collettiva nella declinazione in termini di effettività di un modello di apprendimento permanente del lavoratore e di continuo accrescimento delle competenze del cittadino lavoratore è ormai collaudato.

E proprio per questo va ulteriormente potenziato, in quanto solo un processo di regolazione integrato e multilivello, oltre che rispettoso del canone della sussidiarietà, può far conseguire finalmente al diritto sociale, alla formazione e all’apprendimento permanente una piena realizzazione.

* Sintesi dell’articolo pubblicato in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 31 ottobre 2021, n. 3, p. 647 ss dal titolo La trasformazione digitale ed organizzativa del lavoro e il rilancio dei processi di apprendimento permanente del lavoratore.

1. Il mismatch delle competenze, tra l’altro, oltre che sulla disoccupazione, incide negativamente anche sul fenomeno della sottoccupazione. Sul punto, si veda M.A. Impicciatore, La formazione per l’occupazione nel mercato del lavoro che cambia, in Dir. lav. merc., 2020, pag. 605.

2. Così, appunto, il PNRR, pag. 198.

3. Cfr. ancora il PNRR, pag. 31.

4. Si veda A. Loffredo, Diritto alla formazione e lavoro. Realtà e retorica, Bari, 2012, pag. 61.

5. Così, appunto, il PNRR, Missione 5 (“In-clusione e coesione”), Componente 1 (“Politiche per il lavoro”), Investimento 1.4 (“Sistema duale”), pag. 205.

6. In argomento, si veda M. Tiraboschi, L’alternanza scuola-lavoro può decollare solo se si ridà all’impresa il valore che merita, in E. Massagli (a cura di), Dall’alternanza scuola-lavoro all’integrazione formativa, in Adapt Labour Studies, eBook series, 2017, n. 66, ppagg. 65-66.

7. Si veda l’art. 2 dell’Accordo Quadro richiamato nel testo.

8. Si vedano, appunto, gli Obiettivi genera-li della Missione 5 (“Inclusione e coesione”), Componente 1 (“Politiche per il lavoro”), pag. 200.

9. Cfr. il PNRR, pag. 201.

10.Art. 2, co. 1, lett. i), del D.lgs. n. 276/2003.

11. L. Casano, Il sistema della formazione continua nel decreto legislativo n. 150/2015, in Dir. rel. ind., 2016, pag. 465.

12. In argomento, cfr. il XIX Rapporto sulla formazione continua presentato dall’ANPAL, pag. 107.

13. Art. 1, co. 1, del D.l. n. 4/2019.

14. In argomento, si veda G. Sigillò Massara, Dall’assistenza al Reddito di Cittadinanza (e ritorno), pag. 97.

15. A. Alaimo, Il reddito di inclusione attiva: note critiche sull’attuazione della legge n. 33/2017, in Riv. dir. sic. soc.,
2017, pag. 439.

16. In argomento, si veda S. Spattini, Reddito di cittadinanza: una prima lettura, in Bollettino Adapt, 18 febbraio 2019, n. 7.

17. Art. 4, co. 1, del D.l. n. 4/2019. In argomento, si veda A. Vallebona, Reddito di cittadinanza tra doppio fine e attuazione becera, in Mass. Giur. Lavoro, 2019, pag. 182.

18. In proposito, si veda A. Vimercati, Le norme in tema di formazione professionale, in E. Ghera-D. Garofalo (a cura di), Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro nel Jobs Act 2, Bari, 2016, pag. 124.