Orientamento n. due – Contratto a tutele crescenti: il calcolo delle mensilità risarcitorie e la nozione di “ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr”

del Centro Studi e Ricerche Ordine Consulenti del Lavoro di Milano Ancl, U. P. di Milano

Il D.lgs. n. 23 del 4 marzo 2015 ha introdotto nell’ordinamento giuslavoristico la disciplina delle c.d. “Tutele crescenti”, che ha comportato, fra le altre cose, una diversa modalità di quantificazione dell’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori soggetti al regime delle “tutele crescenti”, ovvero gli assunti (o confermati) dalla data del 7 marzo 2015, nonché i lavoratori già assunti a tempo indeterminato il cui datore di lavoro, dopo tale data, abbia superato il limite dimensionale di cui all’art. 18 L. n.300/1970, co. 8 e 9.

In particolare, rispetto a quanto previsto dagli art. 8 L. n. 604/1966 e 18, L. n. 300/1970 (tuttora in vigore per gli assunti a tempo indeterminato sino al 6 marzo 2015), con il D.lgs. n. 23/2015 cambia la base di calcolo delle mensilità di retribuzione costituenti l’indennità risarcitoria spettante ai lavoratori a tutele crescenti in caso di accertata illegittimità del licenziamento loro intimato.

Anziché ad un certo numero di mensilità “dell’ultima retribuzione globale di fatto”, invero, l’indennità risarcitoria spettante al lavoratore a tutele crescenti è commisurata ad un certo numero di mensilità “dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”.

A tale parametro si fa riferimento costante in tutto il Decreto in argomento:

  • all’art. 2, co. 2 e 3 (reintegrazione con risarcimento e indennità sostitutiva al reintegro);

  • all’art. 3, co. 1 (indennità economica per licenziamento illegittimo di aziende con il requisito dimensionale di cui all’art. 18, L. n.300/70, co. 8 e 9);

  • all’art. 3, co. 2 (indennità economica massima in caso di “reintegro minore”);

  • all’art. 4 , co. 1 (indennità economica per vizi formali del licenziamento);

  • all’art. 6, co. 1 (offerta di conciliazione);

  • all’art. 9 (indennità di licenziamento per datori minori, che non arrivano al requisito dimensionale di cui all’art. 18, L. n. 300/70, co. 8 e 9).

È opportuno specificare che per quanto concerne l’art. 9 vi è un rimando diretto agli articoli precedenti con quantificazione ridotta ad un mese per anno di servizio entro un massimo di sei mensilità.

Si osservi inoltre che per quanto concerne l’art. 6 il testo normativo è lievemente differente rispetto a tutti gli altri, in quanto viene indicato il criterio della “mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”, omettendo il riferimento all’ultima retribuzione. Si ritiene tuttavia che un’interpretazione sistematica del testo legislativo induce a considerare il calcolo della mensilità di riferimento di cui all’art. 6 in senso non differente da quella degli articoli precedenti. La dizione infatti è contenuta nel medesimo testo di legge e fa riferimento ad indennità della stessa natura, rispetto alle quali l’importo previsto per l’offerta di conciliazione, che è sempre commisurato ad un certo numero di mensilità lorde in relazione alla concreta anzianità di servizio, si differenzia dall’indennità risarcitoria solo per il quantum (trattandosi di un numero di mensilità inferiore) e per il vantaggio di non essere soggetta a tassazione alcuna.

Si tratta, evidentemente, di una scelta precisa del legislatore nella direzione di disancorarsi dalla nozione di “ultima retribuzione globale di fatto”, fonte di notevoli dubbi e contrasti interpretativi (mai del tutto risolti) su quali elementi retributivi ne entrino a far parte in mancanza di una definizione legale precisa, ed interpretata dalla giurisprudenza prevalente come comprensiva di ogni compenso avente carattere anche non continuativo, purchè non occasionale (cfr. per tutte Cass. 16 settembre 2009 n. 19956).

Il nuovo criterio di calcolo introdotto dal decreto in esame, invece, che ha come base l’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, richiama implicitamente l’art. 2120 c.c., che è utile qui considerare nei primi due commi:

In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.

Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Alla nozione di retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo del Tfr derivante dal testo di legge si aggiunge quella eventualmente fornita, in deroga, dalla contrattazione collettiva, la quale frequentemente disciplina, e talvolta con esattezza, quali siano le poste retributive utili per il calcolo del Tfr e quali invece siano quelle escluse. Si può pertanto riconoscere nella norma in argomento il tentativo di soddisfare l’esigenza di una maggior certezza del diritto, individuando un valore numerico quanto più incontrovertibile possibile, o quantomeno solo residualmente discutibile.

Tuttavia, affrancati la maggior parte dei dubbi su quali elementi retributivi considerare al fine dell’indennità in questione, appare utile una riflessione sulla collocazione temporale di tali elementi, ovvero su come individuare la retribuzione “ultima” di riferimento per il calcolo del Tfr.

La necessità di identificare un criterio condiviso per effettuare il calcolo delle predette indennità acquista molteplici valenze: non solo, come ovvio, per la quantificazione in sé dell’indennità in caso di contenzioso giudiziale, ma anche per l’ambito stragiudiziale in cui la determinazione dell’offerta di conciliazione è utile a determinare sia la validità stessa dell’offerta – di cui comunque resta facoltativa l’accettazione, senza conseguenze di sorta – sia il corretto limite di esenzione dal punto di vista fiscale dell’importo offerto al lavoratore in tale ambito.

Nozione di ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto

Si tratta pertanto di attribuire all’espressione normativa il significato più corretto, e quindi di identificare la retribuzione “ultima” di riferimento, che farà da base di calcolo alle indennità de quibus ed inoltre rapportarla al termine di mensilità.

La riflessione appare tutt’altro che scontata – e mette in luce nuove difficoltà interpretative – in quanto la norma si basa sostanzialmente sull’utilizzo congiunto, da parte del legislatore, di termini con significati normali differenti:

– con “mensilità”, infatti, si è soliti indicare la retribuzione mensile composta da tutti gli elementi fissi di retribuzione individuati dalla contrattazione collettiva e/o individuale (ma questo non sembra, evidentemente il dato richiesto dal legislatore);

– con “retribuzione utile ai fini del Tfr” si entra in un meccanismo di calcolo e considerazione individuato con una certa precisione;

– infine, il termine “ultima” pone una serie di problemi rispetto all’individuazione temporale.

Il meccanismo civilistico di maturazione del Tfr su base annua è noto e incontrovertibile.

Ai sensi dell’art 2120 cc, lo stesso infatti viene maturato e accantonato per ogni anno prendendo come base di calcolo “tutte le somme compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”. Il principio di omnicomprensività della “retribuzione parametro” così sancito può essere derogato dalla contrattazione collettiva, che però non può mutare né il periodo di riferimento della retribuzione considerata per il calcolo del Tfr (che è l’anno civile 1° gennaio – 31 dicembre, salvo il più corto periodo del rapporto di lavoro avviato o cessato in corso d’anno) né il rapporto di computo tra retribuzione e Tfr (ovvero 1/13,5).

In relazione alla questione in esame, ciò che è fonte di dubbi interpretativi è tuttavia l’ampiezza del rinvio implicito all’art. 2120 c.c. che la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti effettua al fine di quantificare il risarcimento del danno pari ad un certo numero di mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, ossia se esso riguardi: – tale norma nella sua interezza, e quindi richieda di prendere a riferimento l’ultima retribuzione effettivamente presa a base per il calcolo dell’accantonamento annuo di Tfr,

oppure – solo i parametri che l’art. 2120 c.c. fornisce per individuare gli emolumenti retributivi che formano la base di calcolo del Tfr.

Come si vede, si esclude in radice che come ultima retribuzione utile per il calcolo del Tfr si possa fare riferimento alla sola retribuzione del mese di cessazione (o del mese precedente) attesa l’estrema variabilità della stessa, specialmente laddove vi siano inseriti elementi caratteristici della fine del rapporto che snaturerebbero il calcolo con elementi di aleatorietà tali da costituire sperequazioni inaccettabili.

Nel primo caso, si dovrebbe ritenere che l’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr sia costituita da tutte le spettanze effettivamente maturate dal lavoratore nel corso dell’anno civile di cessazione del rapporto (e quindi tra il 1° gennaio e l’ultimo giorno di lavoro) oppure in un diverso periodo ritenuto ugualmente significativo ai fini di quanto in argomento , e considerate utili per gli accantonamenti del Tfr, ed individuare la mensilità da utilizzare a base di calcolo per l’indennità risarcitoria suddividendo la somma complessiva così ottenuta per il numero di mesi effettivamente lavorati nell’anno civile di cessazione del rapporto. Cosicchè nel computo della retribuzione in questione dovrebbero essere considerate, oltre alle retribuzioni e ai fringe benefits, anche tutti gli emolumenti effettivamente spettanti al lavoratore ed utili per l’accantonamento del Tfr se non espressamente esclusi dal Ccnl concretamente applicato, quali ad esempio i premi, gli equivalenti delle prestazioni in natura e le competenze di fine rapporto e quindi l’indennità ferie non godute, Rol maturate e non liquidate nonché l’eventuale indennità sostitutiva del preavviso.

Nel secondo caso, si dovrebbe invece ritenere che i criteri forniti dall’art. 2120 c.c. (ovvero dalla contrattazione collettiva che vi abbia derogato) rilevino per la determinazione della base di calcolo dell’indennità risarcitoria in materia di tutele crescenti solo al fine di individuare in astratto quali voci della retribuzione costituiscono la base di calcolo dell’indennità stessa (e quindi tutti gli emolumenti in astratto utili – nel singolo caso di specie – ai fini degli accantonamenti del Tfr). Mentre l’ultima retribuzione non potrà che essere quella annua in atto al momento della cessazione del rapporto (appunto l’ultima), perché solo di una retribuzione su base annua si può prendere in considerazione un certo numero di mensilità.

Si tratta sostanzialmente di mettere a confronto un metodo, per così dire, “storico-ricostruttivo” con un metodo di tipo sostanzialmente “proiettivo”, tenendo presente che i due metodi hanno ciascuno un pregio e come contraltare, un difetto.

Il metodo storico, infatti, permette di valorizzare, specie se la considerazione viene effettuata in un lasso di tempo abbastanza lungo, l’incidenza di tutte le componenti variabili intervenute nel periodo ( ad es. bonus, elargizioni in natura, provvigioni, retribuzioni variabili, indennità e maggiorazioni) ma, per quanto appaia più aderente al significato letterale della norma, rischia di non essere parametrato all’ultima retribuzione del lavoratore all’atto del licenziamento, il che potrebbe portare anche a squilibri di notevole dimensione (sia a favore che a sfavore del lavoratore) specie se sia da poco intervenuta una modifica corposa del trattamento (si pensi, ad esempio, ad una trasformazione da tempo pieno a part-time o viceversa).

Il metodo proiettivo – al contrario e anzi all’esatto opposto del precedente – valorizza in pieno l’ultima retribuzione (ovviamente considerata includendo o escludendo quanto incluso/escluso dalla norma o dalla contrattazione collettiva) ma in tal modo perde l’effettivo sviluppo della retribuzione nel tempo, che potrebbe anche costituire una quota importante della retribuzione, specie in un periodo in cui si è registrata una forte tendenza ad ancorare una parte anche consistente del trattamento economico a criteri di variabilità e produttività o, ancora, con l’individuazione di benefit in natura o, infine, con la percezione di maggiorazioni retribuzione costanti che vengono spesso inserite dalla contrattazione per la considerazione ai fini del Tfr.

Proprio il confronto fra questi due metodi ci porta a considerare come equo e rispondente in maniera più precisa alla volontà del legislatore – in termini di esattezza, quanto più possibile, della determinazione dell’indennità risarcitoria, ma senza perdere in efficacia – un mix fra i due metodi, per quanto più laborioso di un calcolo immediato, in modo da attenuare il più possibile le punte di discrepanza più elevate presenti in ciascuno dei due metodi alternativi .

Ai fini della valorizzazione della retribuzione utile ai fini del Tfr, per la retribuzione normale (proiettata) si tratterà di prendere la retribuzione di base del lavoratore all’atto del licenziamento (includendo o escludendo gli eventuali elementi che la compongono secondo le previsioni legali /o contrattuali, e quindi arrivando alla, eventualmente diversa, retribuzione base RBT), moltiplicare la stessa per il numero di mensilità in atto in azienda e dividerla per 121, trovando così la prima parte che compone la nozione ed il calcolo dell’importo richiesto dalla legge.

in formula: RBT x m : 12 = RMP (retribuzione mensile di proiezione, ove “m” è il numero di mensilità )

Poi si osserverà un periodo di riferimento a ritroso del mese di cessazione del rapporto (ed escluso lo stesso), che si ritiene congruo essere di 12 mesi (essendo il Tfr calcolato su base annua), nel quale si sommeranno tutti gli altri elementi (diversi ovviamente dalla retribuzione base) utili al calcolo del Tfr, sempre in stretto ossequio alla disciplina legale e contrattuale) dividendo l’importo per 12 o per il minor numero dei mesi presi a considerazione (se il rapporto è durato meno).

La considerazione su base annuale permette di avere come campo di osservazione il periodo caratteristico in cui si forma la retribuzione, solitamente su base annua, includendovi così con una certa media tutti gli elementi caratteristici che in maniera periodica/ricorrente la compongono.

in formula: EUT(M) : M2 = QRM

dove EUT è la somma degli elementi utili ai fini del Tfr (con esclusione della retribuzione base), M è il numero di mesi3 presi ad osservazione (di regola 12, ma potrebbero essere minori se il rapporto è stato di durata inferiore) e QRM è la quota di retribuzione mensile storicizzata.

Trovati questi due elementi con i predetti metodi distinti, basterà sommarli per trovare infine l’ultima retribuzione utile di riferimento per il calcolo del Tfr (URT) (contemplata dalla norma in argomento).

RMP + QRM = URT

In assenza di elementi variabili o significativi nel periodo considerato, si evidenzia che, più semplicemente, RMP = URT.

1 Si noti che in ossequio al principio di “mensilità” previsto dalla norma, nelle determinazioni suddette il riferimento va sempre riportato a mese, che a nostro avviso altro non può essere che il rapporto fra la retribuzione individuata in un certo periodo divisa per il numero dei mesi dai quali tale periodo è composto.

2 Come nota n. 1.

3 Come nota n. 1 e 2.