Accertamenti ispettivi induttivi vietati dalla Cassazione e… dall’Inps.

di Mauro Parisi, Avvocato in Belluno

Sempre più frequenti i recuperi ispettivi di contributi, premi e sanzioni senza prova certa. Eppure la prassi non è ammessa dalla stessa amministrazione

Accertamenti induttivi, presunzioni e “automatismi” punitivi. Sono i fantasmi che quotidianamente aleggiano sui controlli ispettivi in materia di lavoro e previdenza.

Ciò che oggi le aziende soggette a una verifica dei funzionari temono di più, in effetti, non è tanto quanto può essere correttamente provato contro di loro. Bensì quanto potrebbe essere loro contestato senza uno “straccio” di prova. Per mera inferenza e induzione, appunto.

La situazione “classica” è quella del controllo sulle numerose posizioni dei lavoratori di un certo committente o datore di lavoro. La verifica degli ispettori – magari protratta per un considerevole tempo – può concernere solo parte di tali lavoratori. Così, per esempio, solamente per una minima percentuale di essi si viene ad accertare (magari attraverso l’audizione diretta degli stessi e rilievi incrociati) che formali collaborazioni autonome occasionali celavano rapporti di effettiva dipendenza. In questi casi, nell’azione ispettiva, lungi da qualsivoglia self-restraint (ossia, la ponderata valutazione di ciò che è provato e di quanto non lo è), entra inesorabilmente in gioco il fiuto di chi indaga, l’intuito ispettivo, l’“induzione”: il non provato come supposto, verosimile (a parole) e, dunque … dimostrato.

Il ragionamento induttivo degli ispettori (quel sillogismo probatorio motivato con salti logici di “buon senso” ed “ergo” sistemici usualmente poco garantistici e senz’altro metagiuridici), non solo introduce di norma presunzioni e inversione dell’onere probatorio non ammesse; non solamente non rimane confinato a una mera dimensione dialettica; ma, come per legge, una volta che si consolida in un “verbale di accertamento”, produce effetti molto concreti. Dalle mere supposizioni si passa alla formazione di un titolo per legge valido a recuperare forzosamente somme di danaro e capace di altre inibitorie (es. molto classica, quella relativa al rilascio del Durc).

E qui iniziano i guai.

La cosa invero singolare è che l’accertamento ispettivo induttivo e la contestazione a massa non risultano ammessi neppure dalla stessa amministrazione a cui gli ispettori appartengono. Evidente in tale senso è la presa di posizione dello stesso Inps, che ha chiaramente indicato come le proprie verifiche non possano condurre ad accertamenti di natura induttiva o improntati sull’analisi del comportamento aziendale nel suo complesso, senza precisi riferimenti al singolo rapporto annullato”.

La circolare n. 76 del 2016 – in modo univoco e cristallino – conferma che non possono essere assunti provvedimenti da parte dei propri funzionari ispettivi che non sorgano a motivo di “precisi riferimenti”: vale a dire, senza evidenze non possono ritenersi provati circostanze e fatti in malam partem.

A ben pensarci, si tratta di un precipitato di civiltà giuridica che, ai giorni nostri, dovrebbe ritenersi assodato e garantito.

Ma l’Istituto sa che usi e prassi degli ispettori non sono di questo segno. Così si lascia sfuggire l’avvertimento per cui l’“analisi del comportamento aziendale nel suo complesso” non è sufficiente a fondare l’accertamento e il recupero contributivo. Niente supposizioni e immaginazione, insomma: servono prove certe.

Quanto possano costare (economicamente, in termini di avviamento aziendale, ecc.) presunzioni e accertamenti induttivi alle aziende risulta chiaro a chiunque abbia visto da vicino il decorso di vertenze con gli enti deputati ai controlli.

Spesso non basta presentare ricorsi amministrativi – non di rado inascoltati, né presi in considerazione – e, magari, neppure vincere in giudizio in primo grado. Anche in situazioni palesemente “distorte”, non è raro osservare le pervicaci resistenze degli enti pubblici che chiamano aziende e soggetti interessati a difendersi nei gradi successivi di processo, fino alla Cassazione.

Così capita di vedere la Suprema Corte chiamata a pronunciarsi in un caso come quello definito con l’ordinanza del 8 marzo 2017, n. 5960. L’ipotesi sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità era quella di un recupero fiscale operato sulla base di un accertamento ispettivo dell’Inps. Il quale aveva verificato l’esistenza di omissioni commesse da una cooperativa, pur senza avere puntualmente verificato quali fossero le posizioni dei lavoratori interessate dal recupero. La Cassazione non ha che potuto ribadire come accertamenti e recuperi operati indistintamente non debbano essere realizzati, a prescindere dalla presunta analogia dei casi non considerati rispetto a quelli accertati.

In altri ipotesi la Cassazione – come con la sentenza del 13 marzo 2017, n. 6392 – è stata chiamata a precisare che se i riferimenti necessari neppure emergono dal verbale ispettivo e se quest’ultimo appare, anche prima facie, generico, neppure possono essere pretesi i recuperi (nella vicenda, la contribuzione per l’attività commerciale non poteva essere richiesta, essendo la detta attività solo supposta e non emergente dagli stessi atti ispettivi).

In questi e in molti altri casi, sarebbe bastata una serena valutazione in autotutela della stessa sede territoriale Istituto per evitare giudizi e aggravi di spesa (le spese legali per difendersi da approcci ispettivi aggressivi e intransigenti, come noto, sovente non sono indifferenti).

Per non dire come vi sia costantemente da difendersi da meccanici addebiti in malam partem delle più gravi sanzioni civili. Le verifiche ispettive, infatti, scorgono sempre (induttivamente) “evasioni”, anche in ipotesi di non provata volontarietà dell’occultamento (cfr. Cass. n.6405/2017).

Se poi ci aggiungiamo che le basi imponibili su cui gli ispettori operano i propri recuperi non scontano quasi mai quanto già versato dalle aziende all’Istituto per le stesse posizioni disconosciute (es. gestione separata), è facile (induttivamente) comprendere da quali maxi-recuperi, anche a titolo di sanzioni civili, occorra difendersi.